Simbolismo, spiritualità, empatia, antropologia, ma soprattutto multuculturalismo.

Sono i temi ‘giganti’ che emergono dalla visione del documentario ‘Pellegrino’ che, dopo il grande successo riscontrato a Bologna, sarà proiettato fuori concorso per la rassegna ‘Art in Doc’ del ‘Sole Luna Doc Fest’, il 3 luglio alle 21 nella suggestiva cornice di Santa Maria dello Spasimo. Il lavoro, realizzato con il sostegno del ‘Fondo per il cinema e l’audiovisivo’ della Regione Siciliana – Dipartimento del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo, Sicilia Filmcommission, è firmato da due giovani registi, Ruben Monterosso e Federico Savonitto, entrambi diplomati al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo.

La storia rappresenta un viaggio nelle singole vicende che gravitano intorno alla montagna che sovrasta la città di Palermo, con cui intrattiene un rapporto millenario. Percorsi di artisti, nomadi, alchimisti accomunati tutti da una sana follia e legati, per motivazioni differenti, a un unico luogo dove coesistono sacro e profano, ambiente e storia, e che diventa non solo motivo di passaggio, ma anche risposta a importanti interrogativi. La pellicola si pone, infatti, come una riflessione profonda sulle radici di ciascuno, sul rapporto tra uomo e natura, soprattutto nel caso in cui quest’ultima coincida con un luogo carico di memoria. E Monte Pellegrino è un luogo emblematico per i palermitani,  caratterizzato da una forte aurea sacrale e da racconti leggendari.

La macchina da presa si addentra lentamente nei mondi di ciascun personaggio, in modo discreto e senza mai sovrastare l’entità della montagna, la vera protagonista. La realtà si dilata in una lunga attesa, infranta poi dalla giusta dose di sarcasmo, ironia e grottesco che riescono a riportare lo spettatore alla realtà. Un montaggio fatto di un’alternanza di sequenze libere ad altre più ‘osservatrici’ dando vita a un’ibridazione che permette di affrontare realtà differenti e connetterle in un unico cosmo. Gesti, esplorazioni, silenzi e sottilissime connessioni tra idee e azioni arricchite da suggestive musiche e rumori catturati in presa diretta. Si crea in tal modo una visione realistica, ma allo stesso tempo evocativa di un’integrazione in senso universale, un’interconnessione tra micro e macrocosmo che diventa la vera chiave di lettura del film.

“E’ stato un lavoro molto impegnativo, di cui abbiamo utilizzato solo un centesimo se si pensa che la realizzazione è durata circa tre anni e mezzo, per un totale di circa 200 ore di girato – racconta il regista Ruben Monterosso -. Possiamo dire a gran voce che ‘Pellegrino’ esaudisce le nostre aspettative di raccontare il monte. Il documentario nasceva, in realtà, dalla nostra volontà di raccontare della vita di Robi Manfrè, grande alpinista, un fuoriclasse, morto proprio sul monte. A causa della mancanza di informazioni importanti ci siamo resi conto che era difficile da realizzare, ma non escludiamo però in futuro di potere tornare all’idea. Parallelamente ci siamo resi conto che il vero protagonista non sarebbe potuto essere una singola persona -continua -, ma l’entità stessa del monte, in tutta la sua maestosità e attorno alla quale ruotano le vicende dei protagonisti. Mi piace definire, in tal senso, il monte proprio uno scrigno pieno di storie.”

Sul Monte Pellegrino si recano infatti cattolici, musulmani, protestanti, indù. In virtù di ciò potrebbero emergere delle spaccature: la più importante è quella tra Santa Rosalia, protettrice dei palermitani, ma non a caso anche della biodiversità, e l’affascinante figura del Genio, ritratto misterioso e barbuto e protettore degli stranieri. Ma la frattura si colma subito in nome di quel sincretismo che diventa filo conduttore della storia: i due personaggi coesistono così in una perfetta armonia. C’è in tutta la storia una grande aspirazione all’universalità, che non esclude nessuno, inserito su un fondo di umanità ‘orizzontale’ che riguarda tutti.

“Monte Pellegrino diventa così un luogo dove trovare un’utopia di pace – spiega il regista -, un’utopia trovata dopo una lunga ricerca, che ha comportato tantissima osservazione. Simbolicamente l’ “Acchianata” c’è stata anche per noi. Abbiamo vissuto personalmente quest’ascesa, che in fin dei conti può fare chiunque, anzi potrei affermare che siamo tutti ‘pellegrini’. Volevamo dare il segno di una parte di una Palermo più misteriosa, più occulta ed esoterica per certi versi. Chi si confronta con questa città deve anche confrontarsi con tutto questo: la Palermo che non era ancora stata raccontata.”