A mezzogiorno del 29 maggio scorso quattro boss palermitani, tutti all’epoca sotto indagine, fanno perdere le proprie tracce per qualche ora. Spariscono. E nessun aiuto agli investigatori, che da mesi li tengono sotto controllo, arriva dai cellulari che, evidentemente disattivati, non danno indicazioni sui loro spostamenti. A fornire agli inquirenti in modo involontario la chiave del mistero è uno dei quattro, Francesco Colletti, il capomafia di Villabate ora pentito: qualche ora dopo in auto con un uomo d’onore racconterà la cronaca del summit tra i padrini palermitani appena concluso.

E’ questa la svolta dell‘inchiesta dei magistrati di Palermo sulla Nuova Cupola che a dicembre ha portato in cella 47 persone e oggi, con i fermi di altri sette mafiosi, ha aggiunto un nuovo tassello all’indagine. In quella riunione, il cui luogo è tuttora misterioso, i capimafia hanno riportato in vita la commissione provinciale di Cosa nostra e designato il nuovo capo dei capi: Settimo Mineo, 80 anni, professione ufficiale gioielliere, imputato al maxiprocesso. Le parole intercettate di Colletti per i carabinieri e i pm della Dda di Palermo sono state la conferma di un sospetto di mesi: i boss rivolevano la Cupola. Stretta da anni di strapotere corleonese, tenuta in sonno durante la detenzione di Riina, l’unico capo indiscusso di Cosa nostra, ora torna a funzionare. Perché con la morte del padrino c’è bisogno delle antiche certezze e di un organismo che decida “le cose gravi”. Colletti finisce in carcere e poco dopo comincia a parlare. La stessa scelta di rottura la fa un altro fermato, Filippo Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri. Entrambi confermano i ruoli dei boss individuati dagli inquirenti e aggiungono due nomi, quello di Leandro Greco, nipote del Papa di Cosa nostra Michele, padrino di Ciaculli, e Calogero Lo Piccolo, figlio del boss di San Lorenzo Salvatore, finiti oggi in cella.

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