In materia di tutela del patrimonio culturale e ambientale, con l’approvazione da parte dell’Assemblea Regionale Siciliana della nuova legge recante “Disposizioni per i procedimenti amministrativi e le funzionalità dell’azione amministrativa”, la Regione a statuto speciale non offre una grande prova delle potenzialità dell’autonomia, proprio nel momento in cui sul tavolo del Governo di Roma ci sono le richieste delle regioni del Nord di maggiori competenze amministrative e legislative in diversi ambiti, beni culturali e ambiente compresi.

Nell’ottobre scorso, dalle colonne de’ “Il Giornale dell’Architettura”, avevo alzato il livello di attenzione su quest’ennesimo tentativo di trasferire alla politica il potere decisionale su questioni tecniche, commentando il disegno di legge che era stato approvato dalla Giunta di Governo il 19 settembre precedente, col quale la Regione recepisce la cosiddetta Legge Madia di Riforma della PA (L. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”). Un articolo prevede, infatti, che se “un’amministrazione regionale o locale in materia di tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico” (per es. una Soprintendenza) esprime dissenso, in sede di conferenza dei servizi, nei confronti di un progetto, si può proporre opposizione dinnanzi alla Giunta.

In altre parole, viene introdotto una sorta di giudizio finale da parte dell’organo politico. Rispetto al testo approvato nel settembre scorso che non definiva il soggetto proponente l’opposizione, lasciando genericamente intendere che fosse il privato stesso a poterla proporre, nella legge approvata adesso si attribuisce alla stessa amministrazione regionale o locale “la facoltà di proporre opposizione alla Giunta regionale”. Non un obbligo, ma una ‘facoltà’, che potrebbe però incoraggiare atteggiamenti pilateschi in funzionari prossimi ai politici. Succede, dunque, che si sottraggono gli istituti e gli enti preposti alla tutela, già pesantemente condizionati dalla politica, dai contenziosi in sede legale per i ricorsi al Tar, per rimettere, però, tutto in mano alla politica: una cosa è ricorrere nei confronti di un’amministrazione, tutt’altra nei confronti della Giunta di Governo che si è assunta la diretta responsabilità della scelta qualora siano insorti dissensi.

Indicata nella Relazione introduttiva al testo di legge come una delle “scelte innovative rispetto alla disciplina nazionale” (la Legge Madia, infatti, non prevede un esito analogo delle conferenze dei servizi), è evidente che si intenda così dare l’ultima parola alla politica per decisioni che spetterebbero esclusivamente agli organi tecnici. Ci aveva già provato Crocetta che aveva trasferito alla Giunta la valutazione di compatibilità di un’opera con le norme di tutela paesaggistica La Corte Costituzionale ne ha sancito poi l’illegittimità (a richiederne l’impugnazione era stata Legambiente Sicilia). Per un attentato al territorio stoppato, resta, però, sempre in vigore il decreto Sgarlata sui prestiti extra regionali dei capolavori identificativi della Regione, che rimette sempre alla Giunta di valutare le ragioni conservative e i profili culturali e scientifici sottesi alla richiesta di prestito. Il Governo Musumeci non è da meno.

Così depotenziate le Soprintendenze, passa in secondo piano l’altro istituto che, restando al settore di nostro interesse, ha subito i maggiori interventi riformatori, questa volta in chiave positiva rispetto alla normativa statale: quello del silenzio-assenso. Mentre infatti la Legge Madia lo ha introdotto anche per “le amministrazioni che si occupano della tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”, provocando ben due mozioni del Consiglio Superiore Beni Culturali (ne attendiamo una sulla devastante riforma delle conferenze dei servizi anche dall’omologo Consiglio siciliano, silente su tutto) la disposizione regionale “non trova applicazione agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente…”.

Ecco a cosa serve l’autonomia: a recepire con quattro anni di ritardo una legge dello Stato, per innovarla in modo peggiorativo.

Silvia Mazza, storica dell’arte e giornalista

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