La Corte d’appello di Palermo ha rinviato alla Consulta la legge 3 del 2019, la “spazzacorrotti“, ravvisando profili di incostituzionalità. I giudici palermitani mettono sotto esame le disposizioni che precludono ai condannati in via definitiva per alcuni reati contro la pubblica amministrazione l’accesso a misure alternative alla detenzione.
L’ordinanza (presidente e relatore Piras) del 29 maggio scorso è stata diffusa oggi dal Sole 24 Ore. L’articolo 1, comma 6, della legge 3 del 2019 ha inserito alcuni dei reati contro la pubblica amministrazione nell’elenco di quelli per i quali l’articolo 4-bis della legge 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario esclude la concessione di permessi premio e misure alternative.
Questo ha comportato, dal 31 gennaio scorso, data di entrata in vigore della “spazzacorrotti”, che gli ordini di esecuzione delle pene non superiori a quattro anni inflitte per quei reati non sono stati più sospesi per consentire al condannato di formulare richiesta al tribunale di sorveglianza delle oramai precluse misure alternative.
Diversi condannati per reati contro la pubblica amministrazione si sono allora rivolti al giudice dell’esecuzione perché dichiarasse temporaneamente inefficace l’ordine di esecuzione e desse loro modo di richiedere una misura alternativa alla detenzione.
Tale richiesta viene fondata su due ragioni: l’irragionevolezza della nuova deroga al principio generale della sospensione delle pene brevi; la mancanza di una disciplina transitoria per chi ha commesso il fatto quando la legge ammetteva modalità di esecuzione potenzialmente più favorevoli che in maniera non prevedibile l’introduzione delle nuove norme ha precluso.
La Corte d’appello di Palermo, solo in via subordinata, solleva questione di legittimità costituzionale riguardo la mancanza di disciplina intertemporale. In via principale sostiene che l’introduzione in sé di tali reati tra quelli ostativi contrasti con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, perché estende a essi una presunzione assoluta di pericolosità, non fondata su dati di esperienza generalizzati, che prevale irragionevolmente sulla finalità rieducativa della pena e sulla regola del “minimo sacrificio necessario”.
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