I carabinieri stanno dando esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Palermo Fabrizio Anfuso su richiesta della locale Procura Distrettuale, nei confronti di 12 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, nonché dei delitti di estorsione e danneggiamento.

Le indagini sono state coordinate dei sostituti procuratori Sergio Demontis, Caterina Malagoli, Gaspare Spedale e dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci.

Contestualmente sarà applicata la misura di sicurezza provvisoria della libertà vigilata della durata di 2 anni nei confronti di 2 persone che avevano intenzione di uccidere.

L’operazione, frutto di una manovra investigativa sviluppata dal Nucleo Investigativo del Gruppo di Monreale e dalla Compagnia Carabinieri di Corleone in direzione del mandamento mafioso di Corleone e delle famiglie di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano, ha consentito di disegnare i nuovi assetti di vertice di Cosa Nostra in questi comuni.

Sono stati, inoltre, documentati numerosi episodi di intimidazione e controllo nel corleonese.

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A cercare di mettersi in gioco e riprendere le fila, secondo quanto accertato dalle indagini condotte dai carabinieri è stato Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano, uscito dal carcere nel 2014.

Nel marzo dello stesso anno, venivano riavviate le attività d’intercettazione all’interno dell’ufficio di Gariffo in uso ad Antonino Di Marco , custode del campo sportivo di Corleone, vicino ai vertici corleonesi di Cosa nostra.

Gariffo arrestato nel 2006, uno degli uomini che smistava i pizzini durante la latitanza del boss corleonese, poteva contare su un gruppo di uomini fedeli: l’allevatore Bernardo Saporito gli faceva da autista; l’operaio forestale stagionale Vincenzo Coscino da gregario.

Il giudice delle indagini preliminari Fabrizio Anfuso ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare per un altro forestale a contratto, Vito Biagio Filippello.

Fra gli arrestati, il capo cantoniere Francesco Scianni, il figlio del capomafia Rosario Lo Bue, Leoluca, e Pietro Vaccaro, questi  ultimi due sono allevatori. Hanno ricevuto un’ordinanza in carcere per le estorsioni Antonino Di Marco, Vincenzo Pellitteri e Pietro Masaracchia, boss già arrestati qualche mese fa; Masaracchia era stato intercettato mentre parlava di un progetto di attentato contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Tra gli arrestati anche gli omonimi Francesco Geraci, di 45 e 49 anni, nipote e figlio di un capomafia deceduto.

Due incensurati di Palazzo Adriano, Gaspare e Pietro Gebbia, padre e figlio invece si erano rivolti agli uomini del clan per uccidere un parente, un bracciante agricolo di Chiusa Sclafani che ritenevano di troppo nella divisione di un’eredità. Un progetto sventato dalle indagini dei carabinieri.
L’omicidio non ha trovato alcuna concreta attuazione grazie all’intervento degli inquirenti che sottoponevano a fermo di indiziato di delitto, il 23 settembre del 2014, Pietro Paolo Masaracchia, ed il 20 novembre 2015, Vincenzo Pellitteri, rinvenendo in quella occasione, all’interno del suo ovile di Chiusa Sclafani, le armi da fuoco, dallo stesso illegalmente detenute, che dovevano essere utilizzate per la commissione del delitto.

I due amandanti avrebbero assoldato due uomini che dovrebbero essere proprio Pellitteri e Masaracchia  promettendo la somma di tremila euro. A dare un contributo alle indagini anche le denunce di una decina di imprenditori vessati dalla cosca. Sentiti dai militari hanno ammesso di avere pagato il pizzo.

L’operazione costituisce la naturale prosecuzione delle precedenti tre fasi dell’indagine “Grande Passo” relative al mandamento mafioso di Corleone, all’esito delle quali, tra il settembre del 2014 e il novembre del 2015, furono tratti in arresto molti esponenti apicali del citato sodalizio, gettando, tra l’altro, le basi per l’accesso ispettivo al Comune di Corleone e per il successivo scioglimento dell’Ente per infiltrazioni mafiose.