Novantasei e settantasette non sono due numeri da affidare alla “smorfia napoletana”, bensì i voti finali degli esami di maturità di Benteh e Abdulaie, giunti, a bordo di due gommoni, in Italia dalla Libia. Due ragazzi che hanno riposto le loro speranze di rivincita e riscatto nella scuola e in una nazione, l’Italia, che, ormai da alcuni anni, li ospita. I due hanno egregiamente completato il loro percorso di studi al corso serale dell’IPSSEOA Mandralisca di Cefalù ed è proprio dalla scuola della cittadina normanna che ha preso forma il loro riscatto personale e la grande voglia di rivincita.

Ne è passato di tempo da quando Abdulaie, a scuola per tutti “Cucì”, a giugno del 2016, a cavallo di un malconcio salsicciotto di un gommone, con una gamba che, a penzoloni, sfiorava le onde del Canale di Sicilia, con gli occhi sbarrati per la paura, vagava con il suo sguardo nell’oscurità cercando di scovare un bagliore che tagliasse il buio della notte per regalargli la speranza di poter finalmente giungere in Italia, dopo esser partito, a soli 15 anni, dalla sua Guinea per cercare di assicurare un futuro ai suoi due fratelli, orfani come lui, rimasti nella sua terra d’origine.

Dopo aver perso i miei genitori, rimasti uccisi per mano di balordi, in seguito alla guerra tra le diverse etnie della popolazione del mio paese – racconta Cucì – decisi di partire per l’Europa per cercare di sostentare i miei due fratelli più piccoli, sapendo però che senza soldi in tasca sarebbe stata un’impresa ardua se non impossibile. Attraversando il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia ho deciso di sfidare la morte per cercare di sfuggire alla morte, sapevo che mi sarebbe stato impossibile tornare indietro. Molte volte, mentre camminavo a piedi in mezzo al deserto o mentre ero nascosto in Libia, ho pensato che mai sarei riuscito ad arrivare in Europa e che la morte sarebbe stata la fine delle mie sofferenze. In Italia ho trovato gente che mi ha aiutato e, a scuola a Cefalù, posso dire di aver trovato una nuova famiglia con compagni e professori che mi hanno accolto a braccia aperte. Non ho potuto nascondere la mia commozione quando ho terminato il mio esame – ha concluso il ragazzo della Guinea – adesso spero di poter avere un futuro, non solo professionale, qui in Sicilia”.

Ci sono voluti tre anni invece prima che Benteh dal Gambia, dopo aver girovagato per il continente nero, potesse giungere in Terra di Trinacria. La Sicilia ha regalato non poche sorprese al giovane gambiano, a partire dall’amore e dalla realizzazione professionale.

“La miseria mi ha spinto ad abbandonare la mia terra. In famiglia non avevamo come sfamarci e a quindici anni ho deciso di allontanarmi da casa, per cercare di sbarcare il lunario, spostandomi in Senegal. Successivamente ho maturato l’idea di provare ad arrivare in Europa, ma al confine con la Libia i trafficanti di esseri umani mi hanno venduto alla polizia libica e sono stato rinchiuso in carcere dove, costretto ai lavori forzati, ho subito la fame e ogni tipo di tortura e ho visto morire i miei compagni di prigionia sotto il fuoco delle pallottole dei carcerieri. Ho provato a fuggire più volte sapendo di rischiare la vita ogni volta. La fuga era però l’unica strada percorribile per sfuggire alle torture e a una morte lenta che sentivo essere certa. Non ricordo nulla di quel momento, so solo che una sera, mentre stavamo ripulendo un magazzino della nostra prigione, ho pregato Dio di farmi superare quel muro e mi sono ritrovato a vagare nel deserto, nel tentativo di raggiungere la città più vicina. Dopo un paio di giorni trascorsi, a camminare di notte, nel deserto ho raggiunto un centro abitato, luogo dal quale, sono riuscito a chiamare al telefono uno scafista ad un numero che ero riuscito a reperire in carcere. Non sapendo nuotare, ho avuto paura la notte in cui mi sono imbarcato perché, più volte, ho visto gente cadere dal gommone in mare e sparire nel buio. Da allora la mia vita è cambiata, qui in Sicilia, a Termini Imerese, ho trovato l’amore e il lavoro e a Cefalù una scuola con docenti fantastici, di grande valore umano, che mi hanno sostenuto e accompagnato fino al conseguimento del diploma. L’Italia rappresenta tutto per me, è la mia seconda patria, spero di poter tornare presto a casa a salutare la mia famiglia”.

Gli occhi scuri dei due ragazzi adesso brillano e il buio delle notti trascorse nel deserto è solo una pagina triste dei ricordi della loro giovane vita.