Prima le riunioni preliminari in una parrucchieria in via Santissima Mediatrice di Marco La Rosa a Palermo. Poi i vari incontri tra i capi che avrebbero dovuto rappresentare il futuro della mafia e la nuova Cupola.

Tutti incontri sentiti in diretta dai carabinieri che avevano piazzato microspie in diversi luoghi. Era il 10 aprile quando nella parrucchieria nel primo pomeriggio nel quartiere Villa Tasca si sono incontrati Filippo Annatelli, reggente della famiglia mafiosa di Palermo Corso Calatafimi, Gaspare Rizzuto e Salvatore Pispicia, rispettivamente reggente della famiglia mafiosa di Palermo Porta Nuova ed esponente apicale di quest’ultima famiglia, nonché “portavoce” o “delegato” (come meglio definito da Colletti nella conversazione del 29 maggio) del cugino Gregorio Di Giovanni, reggente del mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova.

Il tenore della conversazione ambientale rilevava che l’incontro era stato organizzato per: discutere e risolvere alcune problematiche mafiose che, nel tempo, erano sorte tra gli esponenti dei mandamenti mafiosi palermitani di Pagliarelli e di Porta Nuova; riorganizzare le modalità di relazione tra i rispettivi affiliati, rispettando le vecchie e consolidate regole di cosa nostra, esattamente in linea alle direttive stabilite nella riunione del 29 maggio.

Un incontro voluto da Settimo Mineo futuro capo nominato proprio il 29 maggio. Appena sei giorni dopo il 16 aprile Francesco Colletti e Filippo Cusimano intercettati parlavano di un incontro che si sarebbe dovuto tenere voluto da persone di Ciaculli con il rappresentante del mandamento di Villabate – Bagheria nel corso del quale si sarebbero dovuti presentare “tutti” e affrontare un “discorso”, non meglio precisato, da portare avanti (“Miche ai Ciaculli vogliono l’incontro… e mi.. mi pressano…per la famiglia (…omissis…) si fa st’incontro… si fanno.. ci facciamo presentare a tutti.. si fa un discorso…si mantiene”).

Tutti incontri importati per arrivare al 29 maggio data della nuova fondazione della Cupola che non si riuniva più da tantissimi anni. Nella Fiat Panda parlano Francesco Colletti e Filippo Cusimano. I due affermano che si era svolta una riunione tra i rappresentanti dei
mandamenti di cosa nostra palermitana per riorganizzare l’operato delle varie articolazioni dell’associazione mafiosa e le modalità di relazione tra mandamenti.

Non si tratta, quindi, di una delle tanti riunioni tra elementi di vertice documentate nel corso di diverse indagini di polizia giudiziaria, bensì di un incontro formale finalizzato a costituire un organo centrale con funzioni di direzione sulle attività criminali di rilievo intermandamentale, avente capacità di dirimere i contrasti tra i componenti delle varie articolazioni, potestà sanzionatoria, nonché l’autorità per scegliere i vertici delle famiglie mafiose, come a suo tempo riferito da Tommaso Buscetta nelle sue dichiarazioni.

Nel dettaglio, il resoconto di Francesco Colletti assume grande rilevanza poiché, in qualità di reggente del mandamento mafioso di Villabate, ha preso parte alla riunione e, quindi, ha una conoscenza diretta degli argomenti trattati e dell’identità dei presenti, alcuni indicati espressamente in: Settimo Mineo, che viene raffigurato come il soggetto di maggior autorevolezza che aveva preso “la parola” durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione; Gregorio Di Giovanni, detto “Revuccio”, reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova; Filippo Bisconti, reggente del mandamento di Misilmeri e Belmonte Mezzagno. Francesco Colletti faceva riferimenti anche ad altri uomini d’onore dei diversi mandamenti mafiosi che,
sebbene svolgessero ruoli apicali nelle rispettive articolazioni mafiose, non rivestivano la “carica” necessaria per poter
partecipare alla riunione che era riservata esclusivamente ai diversi reggenti o rappresentanti dei mandamenti.

In particolare, egli faceva riferimento a: Salvatore Pispicia, esponente apicale del mandamento di Porta Nuova e cugino di Gregorio Di Giovanni, detto “Reuccio”, poiché la moglie di Pispicia, Anna Lo Presti, è zia materna di Di Giovanni, Francesco Caponetto, detto Franco, uomo d’onore di Villabate; Giovanni Sirchia, il quale, nonostante fosse un importante uomo d’onore del mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, pur essendo fisicamente presente, era stato costretto a rimanere fuori dal locale ove aveva avuto luogo l’importante consesso, poiché potevano parteciparvi solo i rappresentanti dei relativi mandamenti; Francesco Picone, detto “Franco”, attualmente sottoposto agli arresti domiciliari, uomo d’onore del mandamento della Noce, articolazione che, a causa della mancanza di un reggente, alla riunione de quo era stata rappresentata da un “consigliere”. Francesco Colletti riferiva, altresì, la presenza di vari “reggenti” degli altri mandamenti mafiosi, indicati genericamente come “gente di paese… gente vecchi… gente di ovunque” (“si è fatta comunque una bella cosa.. per me è una bella cosa questa.. molto seria… molto…con bella gente.. bella! grande! gente di paese.. gente vecchi… gente di ovunque..”).

Il reggente del mandamento di Villabate asseriva che, durante la riunione, era stato stabilito che i contatti intermandamentali dovevano essere mantenuti esclusivamente dai reggenti dei mandamenti (“referenti”) per cui, in caso di problematiche sorte all’interno di un mandamento, non potevano in alcun modo intervenire uomini d’onore appartenenti ad altro mandamento: “è una regola proprio la prima!… nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri… siccome c’è un referente..”.

Tale regola doveva essere portata a conoscenza di tutti gli uomini d’onore. Ogni violazione alla stessa, che deve essere rapportata nel corso di una delle periodiche riunioni della nuova commissione provinciale da chi ne è venuto a conoscenza, avrebbe comportato la sanzione dell’allontanamento dell’uomo d’onore dalla propria famiglia di appartenenza. La sanzione, inoltre, deve essere immediatamente applicata dal capo mandamento cui appartiene il trasgressore: “dice basta che tu mi vieni qua da me e mi dici “lo sai è venuto uno “incomprensibile” ed è venuto a fare discorsi a Villabate… noi non ci dobbiamo vedere di nuovo?… di nuovo… di nuovo… di nuovo..”. dice “uno espone un problema e dice è venuto questo e ha parlato in questa maniera ed è venuto a fare questi discorsi…” uh? dice ” appena
finiamo viene convocato… dal suo…e viene messo fuori” perché ci spieghiamo le regole e non le vogliono capire… e allora prendiamo e lo mettiamo fuori subito.

Qualora il capo mandamento non dovesse adeguarsi alla decisione della commissione, se ne sarebbe assunto le “conseguenze”: se uno non vuole accettare si assume le conseguenze totali… dico se ….se sono delicate io sono uno di quelli che non voglio essere mai accusato su quel tavolo di errori….cioè appena annagghiu (acchiappo ndr) Franco (Francesco Caponetto) o Michele (Michele Rubino)
ndr) glielo dirò… prima glielo dirò… dico “non vi muovete se non me lo dite a me… non fate niente… fatemi questa cortesia… perché là dentro… quando si decide una cosa io non posso dire di no… …omissis… c’è chi diceva la “siamo tutte persone per bene tutti saggi….giusto? però non ce ne deve essere timore quando si deve fare qualche cosa giusto è?”.

Durante la riunione un ruolo sovraordinato era stato rivestito dallo “zio Settimo”, ovvero Settimo Mineo, come si evince dal tenore delle frasi allo stesso attribuite. Infatti, riferisce Colletti, in relazione alla “regola” di cui sopra aveva affermato: “ci parte lo zu’ Settimo “io mi ricevo a chiunque però se sbagliano ve lo faccio sapere che … me lo porto… me lo filo… così dice?… e diciamo così… va là vattene…è giusto? io vengo qua e vi dico dov’è… l’errore… pure che lo ha fatto quello… lo hai fatto tu se è di Villabate… lo hai fatto tu se è di Tommaso Natale… o lo hai fatto tu se sei della Piana… o tu se sei di San Giuseppe Jato… o tu se sei di Corleone… mi spiego?…. l’errore lo avete fatto voi…” dice “ma io non ne sapevo niente… di testa sua… è proprio per questo lo devi mandare”.

Il riferimento ai mandamenti di San Giuseppe Jato e Corleone, correlato a quello dei vecchi di paese che erano presenti alla riunione lascia ritenere che verosimilmente tutte e 15 le articolazioni mandamentali di cosa nostra palermitana fossero rappresentate nel corso della riunione.

Durante la riunione era stata affrontata anche la vicenda relativa alla reggenza della famiglia mafiosa di Bagheria. I componenti della commissione desideravano venisse nominato a capo di quella consorteria Gioacchino Mineo , ma Francesco Colletti aveva rappresentato che Giuseppe Scaduto era uscito dal carcere l’anno precedente portando le direttive degli storici referenti di quel sodalizio Nicolò Eucalipstus e Leonardo Greco, i quali avevano designato lo stesso Scaduto quale soggetto idoneo ad assumere le redini della famiglia mafiosa bagherese.

Quindi, la decisione finale era stata rinviata ad altro momento, in attesa della consultazione di un terzo soggetto indicato come “il parente di fuori”.

Nel corso di un’ulteriore riunione, da tenersi in data e luogo imprecisati, si sarebbe dovuto affrontare la tematica relativa alla reggenza del mandamento della Noce, per il quale vi è in atto un “ballottaggio” tra Francesco Picone ed un altro uomo d’onore non meglio indicato.