Non ci sarebbe stata sproporzione tra la capacità reddituale e i redditi effettivamente prodotti nel patrimonio di Vincenzo Rappa – valutato in 800 milioni – editore ed imprenditore la cui società sarebbe stata ampiamente in attivo.

E’ l’esito della perizia ordinata dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi presieduta da Giacomo Montalbano, dopo la sospensione dall’incarico di Silvana Saguto, indagata a Caltanissetta.

In merito al patrimonio appartenuto a Rappa senior, e poi trasmesso ai suoi eredi, sequestrato nel marzo 2014, i magistrati dovranno adesso decidere se confiscarlo o restituirlo.

Ma la Procura deve anche capire se ci fu commistione tra capitali leciti e mafiosi, se ne discuterà nelle prossime udienze.

Sulla sperequazione dei redditi hanno effettuato indagini sia la Dia che il collegio delle misure di prevenzione, oltre agli esperti della sede milanese della Price Waterhouse Coopers, società internazionale di revisione di bilancio, advisory e consulenza legale e fiscale.

Al momento in cui fu disposto il sequestro, investigatori e magistrati rilevarono una perdita media di 120 mila euro, con perdite per ogni anno di attività. Queste differenze negative, secondo la tesi accusatoria, sarebbero state compensate da immissioni di denaro sporco, che avrebbero tenuto in piedi le società di Rappa senior.

La difesa ha sempre contestato la sussistenza di entrambi i presupposti e in questo senso l’ analisi della Price conforta le tesi dei legali degli imprenditori sottoposti alle misure di prevenzione: l’«esubero di capacità finanziaria lecita», rispetto agli impieghi, sarebbe stato di 13.464.740 euro e il saldo per ciascun anno, tra il 1981 e il 2009, sarebbe stato sempre in attivo. La perizia, che si compone di migliaia di pagine, compresi gli allegati, deve essere ancora discussa.