Da ventidue anni a tre anni e tre mesi lo sconto non è poco, anzi: Francesco Autovino, di 51 anni, si vede derubricare il tipo di omicidio di cui rispondeva, da volontario a colposo, grazie al riconoscimento dell’eccesso colposo di legittima difesa.

Sentenza a sorpresa, quella della seconda sezione della Corte d’assise d’appello, che modifica radicalmente la decisione adottata dalla Corte d’assise l’11 giugno 2018. Ieri stesso l’imputato è stato rimesso in libertà, dopo oltre due anni e mezzo di custodia cautelare.

Il delitto in questione aveva visto cadere in via Cimabue a Partinico, il 22 giugno 2016, sotto cinque colpi di coltello, Antonio Salvia, di 23 anni, sposato e padre di due bambini piccoli: ora il collegio presieduto da Angelo Pellino, a latere Vittorio Anania, ha ritenuto che l’imputato avesse reagito a un attacco, una spedizione punitiva nell’ambito di una contrapposizione violenta tra i due gruppi familiari.

Potrebbe fare ricorso la Procura generale, che aveva chiesto la conferma della condanna, mentre è scontato che lo facciano i legali di parte civile, gli avvocati Cinzia Pecoraro, Michele Calantropo e Massimiliano Russo. Autovino era difeso dall’avvocato Baldassare Lauria, che aveva evidenziato come il suo cliente fosse stato vittima di un’aggressione, assieme ai suoi familiari: «Inspiegabile la sentenza di primo grado, adesso è stata ridata la libertà a un uomo che aveva solo difeso la sua famiglia», commenta il legale.

Autovino aveva già ucciso un settantenne, in circostanze analoghe, nel 1992, e aveva scontato la pena.

La rissa mortale con Salvia fu soltanto l’ultimo degli scontri tra le due famiglie, originati dall’incendio di un’auto. Imputato, oltre a Francesco, che rispondeva di omicidio, anche il fratello Giuseppe Autovino, che rispondeva solo della rissa e che era morto prima che il processo di primo grado si concludesse. In abbreviato era stato invece condannato a un anno e mezzo un altro dei presunti partecipanti alla rissa, Gianluca Rizzo, di 29 anni, amico di Salvia.

A far scattare la zuffa culminata nell’omicidio, secondo la ricostruzione della Procura, un episodio avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 maggio del 2016, quando l’automobile degli Autovino era andata misteriosamente a fuoco.

I due fratelli si sarebbero convinti che a incendiarla fosse stato proprio Salvia. E questo avrebbe dato luogo a un primo scontro fisico. Una rissa che però era stata rapidamente sedata, ma che aveva ispirato altri odi e rancori.

Il 22 giugno di tre anni fa la situazione era degenerata. Salvia e Rizzo erano andati in via Cimabue armati di una mazza da baseball e di una spranga di ferro, per farsi giustizia da soli. La difesa dell’imputato sostiene che i due aggressori avrebbero picchiato le persone, per primo Francesco Autovino, poi i familiari. Le parti civili avevano replicato sostenendo che in realtà sarebbe stata presa di mira l’automobile posteggiata della famiglia rivale. Un video ripreso da telecamere di sorveglianza non aveva chiarito la dinamica dei fatti.

Sta di fatto che alla fine era stato ferito a morte proprio Salvia, con cinque fendenti sferrati – lo riconosce anche la sentenza di appello – proprio dall’imputato, lesto ad andare ad armarsi e a consumare la propria vendetta. Non un errore, né un caso fortuito nel corso della colluttazione, ma un gesto deliberato: solo che Autovino dovette difendersi, non arrivando all’estremo della legittima difesa, che lo avrebbe del tutto scagionato, ma comunque fu nella necessità di evitare di essere colpito, lui e i familiari. La mazza da baseball e la spranga di ferro furono tra l’altro ritrovate ripulite, sia del sangue che delle impronte digitali.