Era l’usura l’attività principale del clan Aparo di Floridia e Solarino (Siracusa) e con quei soldi il gruppo mafioso finanziava il traffico di droga. E’ quanto emerso nell’operazione San Paolo, coordinata dai magistrati della Dda di Catania e conclusa dai carabinieri di Siracusa con 24 misure cautelari, di cui 19 in carcere e 5 ai domiciliari. Sono accusati, a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e usura, tentata estorsione ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria, aggravati dalla finalità di agevolare il clan Aparo nel territorio di Floridia e Solarino.

I nomi

Antonio Aparo, 62 anni, già in carcere, a Milano; Massimo Calafiore, 52 anni; Giuseppe Calafiore, 52 anni, Salvatore Giangravè, 57 anni; Angelo Vassallo, 57 anni,  operatore ecologico; Massimo Privitera, 47 anni; Francesco Liotta, 31 anni; Salvatore “Nino” Mazzaglia, 63 anni, già rinchiuso nel carcere di Bicocca, a Catania; Victor Andrea Junior Mangano, 29 anni; Paolo Nastasi, 42 anni; Antonio Amato “cappellino”, 34 anni; Maurizio Assenza, 66 anni, autista; Carmelo Sebastiano Assenza, 26 anni; Jacopo De Simone, 27 anni; Angelo Aglieco, 19 anni; Valenti Joseph, 28 anni, operaio; Antonio Privitera, 24 anni; Giuseppe Crispino, 42 anni.

Sono ai domiciliari Antonia Valenti, 74 anni, pensionata, incensurata, Clarissa Burgio, 38 anni, impiegata, incensurata, entrambe accusate solo di usura, Andrea Occhipinti, 31 anni, operaio, incensurato, indagato per spaccio di droga aggravato dal metodo mafioso, e Domenico Russo, 66 anni, veterinario, incensurato, per tentata estorsione in concorso e aggravata dal metodo mafioso. All’appello mancano 2 persone che non sono state ancora rintracciate dai carabinieri. I carabinieri hanno anche sequestrato un’auto, Audi Q5 di proprietà di una delle vittime di usura, ma nella disponibilità di Massimo Calafiore. In alcune abitazioni degli arrestati sono stati, invece, sequestrati vari assegni e bancomat, sostanza stupefacente del tipo hashish per 5 grammi, 1 grammo di cocaina e denaro in contante per quasi 13 mila euro.

La gerarchia

Dalle indagini, coordinate dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania, era Massimo Calafiore il reggente della cosca, secondo le indicazioni del boss Antonino Aparo, rinchiuso nel carcere di Opera, a Milano, che, comunicava con lui, attraverso le lettere. Il braccio destro di Massimo Calafiore era Giuseppe Calafiore, al di sotto di essi c’erano Salvatore Giangravè e Angelo Vassallo, che, inizialmente contrari alla reggenza dei Calafiore, erano stati successivamente convinti dal boss. Il braccio armato del clan, utilizzato per mantenere il regime di sopraffazione sul territorio, era invece costituito da Mario Liotta recentemente deceduto, e dal figlio Francesco, divenuti l’articolazione operativa del gruppo criminale, con compiti di intimidazione violenta a commercianti e ad altri privati.

Le intimidazioni e l’usura

L’indagine ha avuto origine dopo alcuni incendi avvenuti nel comune di Floridia ai danni delle attività commerciali, tutti accomunati dallo stesso modus operandi. I roghi venivano appiccati agli esercenti che erano caduti nella rete dell’usura: alle vittime era applicati tassi di interesse mensili del 20 per cento, 240% annui.  Era Giuseppe Calafiore, secondo la Dda di Catania, a tenere la contabilità con degli appunti custoditi dalla madre, Antonia Valenti, che contenevano nomi, ammontare delle rate, date dei pagamenti, oltre ai prestiti concessi da Calafiore a titolo personale, senza il coinvolgimento del clan Aparo. Le vittime, secondo i carabinieri, pagavano con bonifici bancari o trasferimenti monetari su Postepay, oltre che con il classico metodo del trattenimento di assegni dati in garanzia per l’ammontare del prestito. In caso di inadempimento, i Calafiore procedevano ad impossessarsi di autovetture, beni immobili e esercizi commerciali delle vittime, gettandole letteralmente sul lastrico. Per la gestione dell’usura, Giuseppe Calafiore, oltre che della madre, si sarebbe servito della compagna, Clarissa Burgio, inizialmente vittima di usura da parte dello stesso Calafiore che le avrebbe affidato tutto dopo il suo arresto per droga.

Il traffico di droga

I soldi dell’usura sarebbero stati investiti per l’acquisto di partite di droga, fornite dai fornite dai catanesi, Salvatore Mazzaglia e Victor Andrea Mangano, legati, secondo la Dda di Catania, al clan etneo dei Santapaola Ercolano, gruppo di Nicolosi-Mascalucia. La sostanza stupefacente veniva poi rivenduta a numerosi acquirenti di Floridia alimentando lo spaccio al dettaglio tra Floridia e Solarino. “Dall’associazione dei Calafiore si rifornivano anche spacciatori indipendenti come Andrea Occhipinti, Paolo Nastasi e Antonio Amato e Massimo Privitera, tutti operanti a Floridia”. Una delle piazze di spaccio più importanti era quella di via Fava che, in poco meno di 4 mesi, dai calcoli dei carabinieri, avrebbe fruttato circa 350 mila euro.

Gli incendi per gli sgarbi

Si è anche scoperto che il clan, per gli inquirenti, eseguiva attentati anche per dare il segnale della sua forza, come nel caso del proprietario di un bar di Solarino la cui auto venne incendiata perché non avrebbe fatto lo sconto sul prezzo della torta acquistata da Massimo Calafiore per il compleanno del figlio e per avergli fatto pagare il lecca-lecca comprato per la figlia. Un pub fu incendiato dopo che Giuseppe Calafiore aveva giudicato troppo caro un tagliere di formaggi ed insufficiente l’offerta del locale per via della mancanza di ostriche e champagne da lui richieste ma non disponibili. Nel corso dell’indagine è emersa altresì la figura di Domenico Russo che dopo essere rimasto vittima dell’usura dei Calafiore  sarebbe stato il mandante di una tentata estorsione ai danni di un netino che lo aveva truffato.

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