Ucciso con due colpi, uno al torace, l’altro alla bocca. Questa, in sintesi, la ricostruzione di un medico legale Francesco Coco che ha testimoniato nell’aula della Corte di Assise di Siracusa, al processo per l‘omicidio di Sebastiano Garrasi, ammazzato nell’aprile del 2002 in un fondo agricolo del Lentinese, per cui sono imputati Raffaele Randone, 46 anni e Alfio Sambasile, 57 anni.

Una tesi che, secondo la difesa di Sambasile, rappresentata dall’avvocato Junio Celesti, smorza la credibilità di un collaboratore di giustizia, Enzo Ruggeri, per cui, Garrasi ed il suo presunto assassino, Alfio Sambasile si trovavano nella stessa auto con la vittima alla guida.

“Il perito – spiega il legale a BlogSicilia –  ha sostenuto che il colpo è partito a sinistra, rispetto alla posizione della vittima” per cui, seguendo il ragionamento del difensore, sarebbe difficile immaginare che i colpi siano esplosi da una pistola impugnata da uno che, in quel momento, era all’interno dell’auto.

Una consulenza comunque complicata perché il cadavere, quando fu rinvenuto, era carbonizzato per cui il medico legale ha potuto lavorare con tante difficoltà e le conclusioni a cui è giunto sono probabilistiche e non certe.

Un delitto che, secondo quanto emerso nelle indagini della Procura distrettuale di Catania, sarebbe connesso al desiderio della vittima di costituire un proprio gruppo criminale, sganciato dalla potente cosca lentinese del boss Nello Nardo, legata alla famiglia Santapaola di Catania.

Il pentito, nel corso della sua deposizione, ha spiegato che Garrasi era scampato ad un precedente tentativo di omicidio. A compierlo, come ha spiegato il collaboratore, sarebbero stati Franco Malino e Delfo La Fata ma la vittima avrebbe riconosciuto Malino, come confermato a quest’ultimo da Sambasile, per cui si decise di ideare un altro piano omicida.

Si sarebbe fatto avanti lo stesso Ruggeri che, parlando con Garrasi, gli avrebbe detto che sarebbe stato necessario trovare un rifugio a Sambasile, in quel momento latitante, e per arrivarci avrebbero stabilito di recarsi con due macchine. Dalla ricostruzione fornita dal pentito, Garrasi sarebbe stato nella stessa auto di Sambasile ma nel tragitto avrebbero fatto salire a bordo Raffaele Randone ed un’altra persona. Da dietro, Randone, difeso dall’avvocato Fabio D’Amico, dopo aver estratto un coltello da sub avrebbe provato ad accoltellare a morte Garrasi con l’aiuto dell’altro passeggero ma non riuscendoci sarebbe intervenuto Alfio Sambasile che avrebbe estratto la sua pistola, colpendolo con due proiettili, salvo poi rimproverare i due complici non solo per non essere riusciti ad ammazzare Garrasi ma anche perché gli avrebbero fatto usare un’arma che avrebbe voluto rimanesse “pulita”.

I due imputati, però, hanno sempre negato le accuse, protestandosi innocenti.