Una vittima totalmente indifesa, inerme, “un oggetto inanimato, una cosa senza vita che si muove meccanicamente ed emette gemiti lamentosi e inconsapevoli”: non hanno dubbi i giudici di Palermo.

Le motivazioni della condanna degli stupratori

La 19enne stuprata da sette ragazzi, in un cantiere abbandonato del Foro Italico, una notte di luglio di due anni fa, non è mai stata consenziente. A meno di 90 giorni dalla sentenza che ha condannato i sei violentatori maggiorenni – solo uno era minore ed è stato processato separatamente – sono state depositate le motivazioni del verdetto.

“Risulta drammaticamente evidente la dinamica di oggettificazione sessuale (principiata dalla svalutazione della persona della vittima in ragione dei suoi costumi sessuali e culminata nella inflizione nei suoi confronti di una sorta di punizione) che ha dato corso all’evento, con condotte agite nella piena consapevolezza dello stato di ubriachezza in cui ella versava e nella totale incuranza della effettiva e attuale volontà della persona offesa di intrattenere, in quel modo sprezzante e brutale, quel genere di rapporti”, scrivono i magistrati che dimostrano di credere in pieno alla denuncia della 19enne. Il tribunale, ripercorrendo la testimonianza della vittima e di chi le prestò soccorso, analizzando i video girati dagli stupratori durante gli abusi e ricostruendo i fatti, in più passaggi mette in evidenza le contraddizioni nelle dichiarazioni rese dagli imputati che hanno sempre sostenuto che la giovane fosse “consenziente”.

Le valutazioni dei giudici nero su bianco

Secondo i giudici, invece, la notte della violenza la 19enne versava in uno stato di “ubriachezza tale da renderla in condizioni di inferiorità e di non essere in grado di prestare valido consenso alla consumazione degli atti sessuali che ugualmente le sono stati imposti e che sono continuati nonostante fosse ad un certo punto intervenuto anche il suo dissenso esplicito alla prosecuzione degli stessi”.

Severo il tribunale anche nell’argomentare la mancata concessione delle attenuanti a tutti gli imputati tranne uno, Samuele La Grassa.

“La giovane età degli imputati, alla stregua della estrema gravità della condotta perpetrata, non può da sola legittimare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo rimasto accertato che la condizione giovanile abbia direttamente influito sulla loro personalità, determinandone una non completa maturità, dovendo ritenersi, invece, che gli stessi abbiano agito in forza di una già formata mentalità sessista e misogina”, dicono. “Non ricorre nessun altro elemento di seria pregnanza idoneo a legittimare detto riconoscimento, men che meno la condotta processuale, fatta eccezione, per l’imputato Samuele La Grassa, che, in sede di interrogatorio ha reso sofferte dichiarazioni, successivamente non smentite, auto ed etero accusatorie, risultate rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto”, spiegano i magistrati. “Parimenti, sempre solo nei confronti di La Grassa, – argomenta il collegio – si ritengono configurabili i presupposti per la concessione dell’attenuante dell’opera di minima importanza”.