Dalle interviste effettuate a un gruppo di ragazzi tra i 13 e i 18 anni dell’Istituto superiore Ascione di Palermo è emerso che quando si pensa alle relazioni tossiche, molti ragazzi si fermano alla possessività, che è un segno distintivo ma non l’unico. Non si comprende di trovarsi in una relazione disfunzionale, che tiene legati a persone sbagliate che non permettono al partner di allontanarsi, ci si sente prosciugati da ogni interesse e non si hanno legami con altre persone perché ci si dedica al partner, annullandosi completamente. Può succedere di trovarsi all’interno di un rapporto amicale o amoroso che all’inizio sembra perfetto, ma successivamente degenera con comportamenti che potrebbero danneggiare l’altra persona.
Il legame traumatico è un forte rapporto emotivo che si collega alla dipendenza affettiva, poiché è caratterizzato dalla mancanza di sostegno reciproco, dal costante conflitto, dalla tendenza al dominio dell’altro, dalla mancanza di rispetto e coesione. Molto spesso porta a vedere solamente i bei ricordi della persona amata o a sentirsi in difetto e alla costante ricerca dell’amore che veniva elargito all’inizio. La persona con cui ci si relaziona non è solo fisicamente o emotivamente violenta o trascurante, a volte è generosa, attenta e premurosa e questo provoca quello che si chiama “legame traumatico” che rende difficile lasciare o cambiare questi rapporti. Nelle relazioni tossiche accade molto spesso che i partner passino da un estremo all’altro, quindi dall’amore all’odio, dal dare tutte le colpe all’assumerle, dall’esagerare allo sminuire tutto.
Per questi motivi è ben chiaro che le relazioni tossiche siano esperienze estenuanti e che facciano confondere i partner. Nonostante ciò, gli studi affermano anche che ci sia una persona “leader”, quindi la persona “tossica” e che le azioni sbagliate che quest’ultima compie portino l’altra persona a sentirsi stressata e ansiosa. È molto importante cercare di prevenire queste situazioni per evitare il verificarsi di questi scenari.
Intervista a Claudia Corbari, psicologa, psicoterapeuta, operatrice di centri antiviolenza di Palermo
Cosa è per lei una relazione tossica? Quali sono i segnali che possono farcene accorgere?
“Una relazione tossica è un legame relazionale tra più persone nel quale vengono vissute delle dinamiche disfunzionali come quelle di controllo sull’altro, abuso di natura fisica, economica, psicologica, verbale o di qualunque altra tipologia, dinamiche di dipendenza e perdita della propria autonomia personale. Le modalità di espressione di una relazione tossica possono essere molteplici, ma di certo la determinante comune è una condizione di malessere dei membri che la vivono”.
Durante il suo lavoro nei centri antiviolenza e nei centri di comunità, ha incontrato ragazze vittime di relazioni tossiche?
“Ne ho incontrate e ne incontro abitualmente anche nel mio lavoro clinico presso lo studio privato. Incontro anche ragazzi vittime di relazioni tossiche, questo a dimostrazione del fatto che non sono solo le donne a poter essere vittime di queste relazioni che invece vengono costruite da entrambi i partner”.
Secondo lei, come iniziano le relazioni tossiche?
“Le variabili sono molteplici e quindi non è possibile dare una risposta univoca a questa domanda. Un fattore importante è la storia individuale della persona che inizia la relazione e il conseguente incastro di coppia che si viene a creare, ovvero il ‘perché ci si sceglie come partner’ in quel preciso periodo della vita individuale. Ciò risponde alla domanda probabilmente poco romantica ‘A quali bisogni individuali risponde quella relazione in quel momento?’. A partire da queste basi poi bisogna comprendere quali sono le dinamiche che si instaurano anche in relazione al rispetto dei bisogni e degli spazi individuali di ognuno. Se questi, per esempio, non vengono rispettati è altamente probabile che si creino difficoltà relazionali a lungo termine”.
Come mai le persone che ne sono dentro non chiedono aiuto?
“Spesso le relazioni tossiche hanno connotazioni di dipendenza nelle quali si vive un forte malessere ma dal quale è difficile uscire in quanto ogni dipendenza colma un vuoto personale anche se in modo disfunzionale. La mancanza di soddisfazione dei bisogni (a volte anche di riconoscimento) che caratterizzano quel vuoto, conduce all’impossibilità di tirarsi fuori dalla dinamica di dipendenza e, quindi, a chiedere aiuto per concludere la relazione stessa”.
Secondo lei non chiedono aiuto perché non ne sono consapevoli o per qualche altro motivo?
“Esiste quasi sempre una consapevolezza del malessere che si sta vivendo così come della necessità di liberarsi della relazione, ma le dinamiche esposte in precedenza bloccano la sana conclusione della relazione stessa”.
Come si possono aiutare queste persone? Magari in una relazione di amicizia, cosa potrebbe fare un amico che vede l’altro in difficoltà?
“Un amico in grado di riconoscere i segnali di una relazione tossica, potrebbe permettere alla persona che la sta vivendo, di cogliere i segnali e spronarla a chiedere aiuto ad uno specialista, indirizzandola in base alla tipologia e alla gravità della situazione nei centri territoriali più adeguati alla presa in carico”.
I suoi pazienti quando gliene parlano, se ne rendono conto? Lei come agisce?
“Generalmente quando si arriva a parlarne in terapia, c’è una consapevolezza del proprio malessere causato dalla relazione che si sta vivendo. In questi casi lavoro sul recupero di sé e della consapevolezza dei bisogni individuali al fine di facilitare autonomia ed autodeterminazione quali basi necessarie al distacco dalla relazione tossica”.
Giada Baucina
Gloria Loreta
Capuana Giorgia
Carollo Carolina Zama


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