Kitsch. In italiano suonerebbe “pacchiano”. Ma kitsch è più figo, volete mettere? Oggi il kitsch imperversa in tutti i settori: moda, arredamento, cinema, teatro, insomma ovunque.
Qualsiasi cosa prima definissimo “pacchiana”, di cattivo gusto, un intruglio, un’accozzaglia di elementi che si bisticciano fra loro, adesso è assolutamente “kitsch”.
Ci si giustifica, definendosi kitsch. Se per esempio domani mattina non trovassi fra la biancheria pulita il mio fantastico sempiterno tubino di lana nero, ma un pantalone fresco di lana a quadretti giallo, una maglia di cotone verde pisello e l’accoppiassi con un bel cappotto rosso ed una sciarpa rosa shock, non verrei considerata inelegante oppure una pazza daltonica, bensì una donna che veste kitsch, quindi originale. E non solo…farei pure tendenza! Poco ci manca che la figlia della vicina di casa mi copi l’indomani…
Kitsch spesso viene accomunato ad un altro termine “trash”, ma sono due cose un po’ diverse. Il termine trash – letteralmente “spazzatura” – lo si utilizza per indicare qualcosa di volgare, di veramente scadente.
Molti stilisti, del kitsch, ne hanno fatto un cavallo di battaglia. Anche grandi case di moda nel passato si sono sbilanciate in tal senso, ma il ritorno al classico ha poi avuto la meglio.
Ma io questa “kitschy culture” non la trovo poi così terribile. Tante volte ho trovato spunti per arredare un ambiente, per accoppiare l’inaccoppiabile ed indossarlo con una sicurezza tale da far pensare alle amiche di averlo copiato da Vanity Fair. L’importante, come sempre, è non esagerare. Niente estremismi: in medio stat virtus.
Diverso, invece, è il caso in cui chi si veste male o indossa abiti poco adatti alla silhouette, vuole spacciare per kitsch il proprio look. E lì non ci siamo più.
Quelli sono soggetti che io definisco privi di specchi in casa e di parenti che gli vogliono bene. Non te ne accorgi tu, di essere ridicolo? Ma qualcuno che ti sta vicino e ci tiene ci sarà pure, no?
Quando ero ragazzina, non essendo mai stata un silfide, mia madre era molto attenta al mio abbigliamento per evitare che gli altri potessero deridermi, evitava quindi jeans super attillati, fuseaux di ogni genere, magliettine sopra l’ombelico, colori sfavillanti, minigonne e fuoriuscite varie di “ciccia” dai fianchi o da qualsiasi altro centimetro quadrato del mio corpo. E quando alcune sue amiche la criticavano per la sobrietà del mio stile, lei rispondeva sempre che proprio al Liceo nascono i primi disagi, che è necessario mantenere, appunto, un “low profile”.
Certo erano altri tempi, ma quelli “sopra le righe” esistevano anche allora.
Oggi sento mamme che sostengono di non voler condizionare i figli, soprattutto le figlie e di lasciarli liberi di “esprimersi”. Giusto, giustissimo. Ma una cosa dovrebbero tenere sempre in conto, mode o non mode: un minimo di decoro.
Qui da noi, in Sicilia, la parola kitsch è soppiantata da termini ben più divertenti e specifici. Anche qui vige la differenza tra dialetto palermitano e catanese. A Palermo quello che un milanese definirebbe kitsch, viene additato sicuramente come un “tascio”, ma “tascio forte”…
Sotto il Mongibello il termine si trasforma in “zzaurdo”, rigorosamente con due zeta, se non con tre. ” Zaurdissimo” se proprio non si può “taliare”, cioè nemmeno guardare da lontano.
Comunque ‘Il mondo è bello perché è avariato’ avrebbe detto Er Monnezza. Se non lo fosse, chissà che tristezza! La varietà, l’alterità, le differenze che contraddistinguono ognuno di noi, quei piccoli particolari che ci caratterizzano, che ci rendono unici, che ci piacciano o no, sono il sale della nostra società.
Ognuno di noi, per fortuna, contribuisce ad aggiungere un tassello al caleidoscopico puzzle che è il nostro meraviglioso mondo…
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