Comincia nell’aprile di sette anni fa, quando Raffaele Lombardo era certamente l’uomo più potente dell’Isola, la parabola dell’ex presidente della Regione che coincide, giocoforza, con la vicenda giudiziaria che lo riguarda di cui oggi verrà scritta un’altra pagina importante. Sette anni lunghissimi che – per ovvie ragioni – si riflettono sulla storia recente della politica siciliana.
Stamani, al palazzo di giustizia di Catania sarà infatti pronunciata la sentenza d’appello del processo in cui Lombardo è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Era il 19 febbraio 2014 quando in primo grado il politico di Grammichele venne condannato a sei anni e otto mesi di reclusione. Era già l’ex governatore della Sicilia ed il fuggi-fuggi dal suo Mpa si era praticamente consumato. A Palazzo d’Orleans l’astro di Rosario Crocetta luccicava ancora e quattro giorni più tardi, a Roma, avrebbe giurato nelle mani di Giorgio Napolitano, un giovane presidente del Consiglio di belle speranze: tale Matteo Renzi da Firenze. Appena due anni che in politica sembrano due secoli.
Sarà per questo che quando il caso Lombardo deflagra (con l’inchiesta Iblis) è praticamente un’altra era geologica. Nell’aprile 2010 Raffaele da Grammichele è ancora il presidente della Regione eletto da una coalizione di centrodestra. Da lì a poco, però, l’ex governatore spariglierà le carte dando vita ad un governo tecnico anche con l’appoggio di una parte del Pd.
Nel 2012 la procura di Catania, che dal novembre 2011 è guidata dallo ‘straniero’ Giovanni Salvi e che indaga su Lombardo e suo fratello Angelo (per entrambi la posizione era stata stralciata dall’inchiesta Iblis) si spacca, ma chiede l’archiviazione per il concorso esterno facendo riferimento nella valutazione di questa decisione alla cosiddetta ‘sentenza Mannino’.
Raffaele Lombardo va a processo comunque, ma per reato elettorale. Intanto l’Italia è in piena austerity: a Palazzo Chigi c’è Mario Monti e sulla Sicilia i giornali parlano di default scrivendo della complessa situazione finanziaria.
La svolta è nel marzo di quell’anno: il gip di Catania, Luigi Barone non accoglie la richiesta di archiviazione e dispone l’imputazione coatta per i Lombardo. A Palazzo d’Orleans viene convocata una conferenza stampa: “Se verrò rinviato a giudizio mi dimetterò”, dice il leader del Mpa ai giornalisti. Intanto a Palermo è tempo di elezioni comunali: Leoluca Orlando torna a Palazzo delle Aquile, dopo dieci di amministrazione targata centrodestra.
Le dimissioni di Raffaele Lombardo arriveranno in estate: nel luglio del 2012 si conclude l’esperienza palermitana del catanese con gli occhi ghiaccio. Poco più di novanta giorni dopo su quello scranno di Sala d’Ercole siederà Rosario Crocetta, che vince le Regionali battendo il candidato di centrodestra Nello Musumeci e Gianfranco Miccichè, quest’ultimo sostenuto proprio da Lombardo, ma sulla scena si affaccia una nuova forza: il Movimento 5 Stelle.
Il processo a quello che era l’uomo più potente di Sicilia va in scena senza troppo clamore mediatico: le telecamere faranno la loro comparsa il giorno in cui verrà pronunciata la sentenza di primo grado che condanna Lombardo a sei anni e otto mesi. Quel giorno la procura si presenta compatta guidata da Giovanni Salvi, accanto all’ex presidente della Regione ci sono solo i suoi avvocati.
Nel frattempo per Lombardo c’è spazio per altri processi, uno in particolare quello per voto di scambio in cui è coinvolto anche il figlio Toti: entrambi verranno assolti, ma in quella sede l’ex potente parla per la prima volta dei tanti che lo hanno lasciato politicamente, ‘cambiando casacca’.
Nel frattempo sull’Italia soffia il vento del renzismo: l’ascesa di Matteo da Firenze appare inarrestabile ed anche in Sicilia al seguito del premier ci sono diversi ex fedelissimi di Lombardo. La frenata per Renzi arriva in dicembre con l’esito del referendum, mentre in Sicilia è già scattato il count down verso le Regionali d’autunno.
C’è chi giura che Raffaele da Grammichele è tornato nell’agone politico per appoggiare qualche candidato: “Falso – dice a BlogSicilia in una delle pochissime interviste rilasciate in epoca recente, lo scorso febbraio – non do indicazioni di voto neppure a mia moglie, infatti al referendum per la riforma costituzionale abbiamo votato in maniera differente…”.
Insomma, Lombardo giura di non avere più nulla a che fare con la politica, ma molto lo dirà la sentenza prevista oggi a Catania.
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