Ha confessato tutto, senza indugi. La madre che mercoledì scorso ha lanciato la figlia di appena sette mesi dal terrazzo di casa, in via Marchese a Misterbianco, ha ammesso le proprie responsabilità davanti al magistrato. Un dramma familiare atroce, aggravato da un dettaglio straziante: a essere testimone dell’orrore è stato il fratellino di sette anni, che ha provato con tutte le sue forze a fermare la madre.
Il bambino avrebbe assistito all’intera scena, cercando disperatamente di impedire quel gesto estremo. Un’immagine che si imprime come un marchio indelebile nella memoria, destinata a lasciare segni profondi e duraturi.
Un quadro psichico compromesso
Secondo fonti giudiziarie, così come riporta Repubblica, durante l’interrogatorio la donna «non è stata lucida». La sua condizione psichica risultava già compromessa: in passato aveva subito un trattamento sanitario obbligatorio (Tso) e soffriva di depressione post partum. Formalmente, era posta sotto amministrazione di sostegno, con il padre medico nominato come amministratore principale e il marito, operatore ecologico, come co-amministratore.
Nonostante la situazione clinica nota e le segnalazioni precedenti, il sistema di tutela pubblica non è riuscito a intervenire in tempo. Appena lo scorso 22 gennaio, la donna era stata ascoltata dal giudice e, secondo un avvocato amico della famiglia, «aveva risposto in maniera impeccabile alle domande». Nessun obbligo specifico le era stato imposto, né erano state attivate misure di affiancamento per la cura dei figli.
La famiglia non è bastata a evitare la tragedia
In casa, la donna non era mai sola. Con lei vivevano il marito, la suocera e la cognata. Un nucleo familiare che, però, non ha saputo o potuto prevenire la tragedia. «La nonna paterna viveva per i suoi due nipoti, non aveva più una vita, non usciva mai», hanno raccontato i parenti del padre della piccola vittima.
Il dramma si è consumato in pochi istanti. La piccola Maria Rosa, precipitata dal terrazzo, è stata soccorsa dal personale del 118 e trasportata d’urgenza in ospedale, ma è deceduta prima di arrivare al pronto soccorso. Un’altra ambulanza ha preso in carico il padre, sotto shock e ferito da atti di autolesionismo, portandolo al Policlinico di Catania.
Arresto e incarcerazione, tra ostacoli e difficoltà
I carabinieri della compagnia di Misterbianco sono intervenuti immediatamente, arrestando la donna. Attualmente, si trova in carcere. Tuttavia, la sua collocazione resta complessa: le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) non dispongono di polizia penitenziaria e spesso non sono attrezzate per gestire pazienti con disturbi psichiatrici gravi e potenzialmente pericolosi. Il sistema penitenziario e sanitario, già sotto pressione, si trova ora a dover affrontare ancora un caso difficile, che solleva interrogativi su prevenzione, sostegno e responsabilità istituzionali.
Il trauma del fratellino: una ferita che non potrà guarire
Al centro di tutto resta l’altra vittima: il bambino di sette anni che ha visto la madre uccidere la sorellina e ha tentato di salvarla. Il trauma subito sarà lungo, profondo, difficilissimo da guarire. Un’esperienza che richiederà cure psicologiche costanti, attenzione e delicatezza per aiutarlo a elaborare quanto accaduto. La comunità di Misterbianco, scossa e addolorata, si interroga ora sul destino di questo bambino, sulle responsabilità collettive e sulle fragilità che, quando non adeguatamente assistite, possono trasformarsi in tragedia.






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