Erano le cinque un quarto del mattino quando il cuore di Giuseppe Bozzanca cessò
di battere.
Alzarsi molto presto ed andare a dormire altrettanto presto era stata una costante
della sua vita, rispettata anche nell’ultimo respiro, esalato alle prime luci dell’alba.
Alle 7 del mattino era già fuori casa, si fermava in edicola , dove acquistava “la
Sicilia”, “la Stampa” e dal 14 gennaio 1976 “la Repubblica” e si recava in azienda
dove dedicava la prima ora della giornata lavorativa alla lettura dei quotidiani.
Altri acquisti regolari erano i settimanali Panorama e l’Espresso, le riviste il Mulino,
e Limes, che nel tempo avevano preso il posto del suo grande amore editoriale, la
rivista Belfagor degli anni 50.
Bozzanca aveva una grande capacità di quella che si chiama tecnicamente lettura
verticale. Sfogliando un libro o una rivista, riusciva a trovare le parti essenziali e più
significative, senza aver bisogno di leggere dall’inizio alla fine un testo.
Una lettura rapida ed intelligente che gli aveva consentito di concludere
velocemente gli studi liceali ed universitari, dedicando molto tempo ad altre attività,
come il calcio ( mancino aveva un formidabile tiro sinistro) e la tipografia della
sorella della madre, la zia Teresina Sgandurra.
Aveva quasi 17 anni nel 1948 ai tempi della grande sfida tra De Gasperi da una parte
e Togliatti e Nenni dall’altra.
80 anni fa il più efficace mezzo di comunicazione era ancora il manifesto affisso sui
muri. Durante la campagna elettorale dalle sedi locali dei partiti arrivavano nelle
tipografie gli scritti dei manifesti che a quel tempo si stampavano ancora con i
caratteri componibili.
I primi manifesti stampati dovevano essere consegnati alla Prefettura e alla
Questura che con una ordinanza potevano vietarne l’affissione.
L’ordinanza di divieto diceva che il manifesto che iniziava con le parole…e finiva con
le parole… non poteva essere affisso.
Il ragazzo che poi avrebbe studiato legge assunse l’iniziativa di cambiare le prime e
ultime parole dei manifesti facendoli affiggere senza infrangere la legge,
contribuendo nel suo piccolo ad una piena informazione senza censura dei cittadini.
Dopo la laurea, conseguita a 24 anni nel 1955, gli esami di abilitazione a procuratore
legale nel 1956, cominciò ad esercitare la professione forense nel 1957, ottenendo
notevoli soddisfazioni fino al 1966.
Dopo la morte della zia Teresina nel 1962, aveva rilevato la Tipografia Sgandurra,
che aveva due settori di produzione, la stampa commerciale, che era l’attività
principale e la stampa politico editoriale. Nella prima che consentiva importanti
entrate, fu un vero pioniere a Siracusa, passando dal sistema tipografico prima alla
litografia per poi giungere infine alla stampa offset acquistando macchinari
innovativi visti alla DRUPA, la più importante fiera tipografica che si svolgeva ogni 4
anni a Dusselndorf in Germania. Accanto alla stampa commerciale, l’attività
editoriale, un lavoro di nicchia non remunerativo, che appagava la sua passione
politica.
In tipografia vennero stampati vari settimanali a cavallo tra gli anni 60 e gli anni 80,
eccezion fatta dell’Aretuseo di Gibilisco, con il quale non scorse mai buon sangue.
La tipografia era anche un luogo di incontro, dove politici locali in forte contrasto si
parlavano, dibattevano e concludevano accordi.
Così erano di casa i democristiani Santi Nicita, Gino Foti, Nitto Brancati , Pippo
Gianni, I comunisti Nino Piscitello e Salvatore Corallo i socialisti Raffaele Gentile e
Franco Greco, il missino Mario Cavallaro, il repubblicano Pasquale Bandiera.
Le discussioni iniziate in tipografia si concludevano di solito nel tardo pomeriggio al
bar dell’Agip di fronte all’ospedale, il bar politico per eccellenza negli anni 70 e 80
del secolo scorso.
Nel 1984, uno dei settimanali che veniva stampato da Bozzanca, pubblicò un
articolo intitolato “ quel siracusano di nome Sandro Pertini”.
Il presidente partigiano durante il fascismo aveva avuto un documento di identità
falso, intestato a Nicola Durano, nato a Siracusa.
La Prefettura trasmise l’articolo al Quirinale.
Pertini , senza utilizzare alcun filtro telefonò direttamente in tipografia.
La segretaria di Bozzanca lo andò a cercare tra le macchine tipografiche, gridando:
Avvocato, c’è il presidente della Repubblica al telefono! Dopo un primo momento di
sorpresa, Bozzanca realizzò il motivo della telefonata e si intrattenne poi con Pertini
ricordando alcuni antifascisti siracusani che il Presidente aveva conosciuto.
Alla fine del 1983 cominciò a farsi strada l’idea di produrre un quotidiano
autenticamente siracusano.
All’epoca vigeva una sorta di gentlemen agreement in base al quale il Giornale di
Sicilia di Palermo dominava incontrastato nella Sicilia occidentale, la Sicilia di Catania
ricopriva lo stesso ruolo nelle provincie orientali mentre la Gazzetta del Sud aveva
come propria area esclusiva la provincia di Messina e la Calabria.
Nel 1981 si era conclusa l’esperienza di quello che fu il primo quotidiano di Siracusa,
il Diario dell’imprenditore non siracusano , Giancarlo Parretti.
Alcuni giovani che avevano collaborato a quella esperienza e che continuavano a
scrivere nei settimanali siracusani, come Enzo Argante e Corrado Maiorca,
cominciarono a discutere con Giuseppe Bozzanca dello spazio per un quotidiano a
Siracusa. Si ipotizzò che se in due anni si fosse raggiunta una tiratura di 3000 copie
che avrebbe significato una diffusione tra i 10000 e i 15000 lettori, i gettiti
pubblicitari avrebbero finanziato il progetto.
Vi erano forti dubbi sulla riuscita dell’operazione, ma Bozzanca volle provare fedele
ad un vecchio adagio che soleva ripetere: “ Non è necessario sperare prima di
intraprendere, né riuscire prima di perseverare”
La tiratura media non superò mai le 2000 copie ed il progetto si rivelò un disastro
dal punto di vista economico. L’esperienza della Gazzetta di Siracusa si consumò in
20 mesi dal 5 marzo 1985 al 2 novembre 1986.
Ma non tutto può essere ridotto all’aspetto economico.
La Gazzetta di Siracusa fu un incredibile fucina per tanti ragazzi all’epoca tra i 20 e i
30 anni, che ebbero una formidabile opportunità di vivere in una redazione di
giornale guidata da un pool di giornalisti professionisti come Umberto Rosso,
Roberto Leone, Giuseppe Mazzone.
Grazie alla Gazzetta di Siracusa Enzo Argante divenne all’epoca il più giovane
direttore responsabile di un quotidiano; Giovanna Quasimodo fu la prima donna ad
essere direttrice di un quotidiano.
Grazie alla Gazzetta di Siracusa divennero giornalisti professionisti i siracusani
Corrado Maiorca, Carmelo Maiorca e Andrea Armaro, che tra l’altro fu anche
portavoce del Ministro della Difesa, Arturo Parisi. Per un breve periodo vi lavorarono
pure Toi Bianca e Aldo Mantineo, diventati poi professionisti con La Gazzetta del
Sud.
La distribuzione del giornale fu curata da un giovane Rino Piscitello, futuro deputato
della Repubblica dal 1992 al 2008.
Terminata l’esperienza della Gazzetta, si dedicò per altri 5 anni alla Tipografia,
introducendo nell’azienda una innovativa rotativa che stampava in quattro colori
con un solo passaggio, unica azienda in tutta la Sicilia ad avere un macchinario così
importante.
Accanto alla stampa commerciale , l’attività editoriale vide la prima pubblicazione di
un giovane Anselmo Madeddu, poi direttore sanitario della ASP di Siracusa, su
Ortigia:
Mons Salvatore Giardina e Mons Pasquale Magnano, entrambi in tempi diversi
rettori del Santuario della Madonna delle lacrime pubblicarono con Bozzanca.
Il primo un romanzo storico a sfondo religioso in due tomi, “Bivio”.
Il secondo diversi contributi alla storia locale.
Alla fine del 1991, Bozzanca lasciò definitivamente l’attività tipografica e ritorno a
fare l’avvocato, ottenendo anche la nomina a membro del CoReCo, il Comitato
regionale di controllo degli atti degli Enti locali.
La passione politica continuò con una fitta produzione di commenti sui fatti locali
pubblicati in vari giornali.
Molto tempo fu dedicato alle letture su argomenti storici giuridici e politici in una
delle più importanti biblioteche private della città ( oltre 6000 volumi).
Significative furono anche le riletture, particolarmente di quel grandissimo
giureconsulto che fu Piero Calamandrei, che Bozzanca considerava come la sua
guida spirituale..
“Elogio di un giudice da parte di un avvocato” e “Un popolo di formiche erano tra i
suoi libri preferiti”.
Nella sua bara, che lo accompagnava alla cremazione era vestito di verde, il colore
della scienza e della speranza, aveva all’occhiello un garofano rosso, simbolo di
amore e di affetto, ma anche il segnale per unirsi silenziosamente, in modo visibile e
irriverente, quando ai lavoratori era proibito manifestare sotto le insegne di una
bandiera.
Sei giorni prima di andarsene, quando la fine si delineava in modo chiaro e netto,
confidò al nipote Gianmarco Vaccarisi che come ultima cosa sarebbe voluto uscire
dall’ospedale e fare una folle corsa in auto, anche se non guidava più, a causa della
malattia da oltre sette anni.
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