di Alida Polizzi, Emanuele Scordo
L’Italia, storicamente culla del buon vino e dell’arte della tavola, si trova oggi a fronteggiare una realtà sempre più inquietante: l’alcol non è più soltanto il compagno discreto dei pasti, ma si trasforma spesso in una dipendenza che danneggia la salute pubblica del Paese. L’alcolismo si configura così come un nemico subdolo che si insinua attraverso una serie di comportamenti estremamente distruttivi per le nuove generazioni.
I dati parlano chiaro. Dalle rilevazioni più recenti sull’uso e abuso di alcol in Italia, fornite dall’Istituto Superiore di Sanità e risalenti al Rapporto 2023, si denota come 8,6 milioni di italiani risultano essere consumatori a rischio: si tratta di uomini e donne che superano le soglie di consumo sicuro stabilite dall’OMS, spesso senza esserne consapevoli. A questi si aggiungono 3,7 milioni di binge drinker, spesso, giovani che, soprattutto nei weekend, assumono grandi quantità di alcol in un lasso di tempo ridotto a stomaco vuoto, e 770.000 persone con danni alla salute già accertabili ma non diagnosticati, spesso perché celati sotto la patina della “normalità”.
Da una rilevazione del 2023 da parte dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, viene fuori un dato piuttosto preoccupante: oggi, l’età media del primo contatto con l’alcol si aggira attorno ai 13 anni. In questa fase delicata dello sviluppo neurologico, il cervello umano si trova ancora in fase di maturazione e l’alcol, agendo sulla parte del sistema limbico e sulla corteccia prefrontale, compromette l’equilibrio emotivo e la capacità decisionale, con danni che si protraggono nel tempo.L’adolescente, in cerca di riconoscimento e identità, trova nell’alcol un mezzo per conformarsi al gruppo, placare ansie, o semplicemente “staccare la spina”. L’atto del bere diventa così liberatorio, quasi come un rituale, eppure intensamente tossico.
Si è registrato inoltre, secondo un’analisi pubblicata nel 2023 dal blog “Riflessioni” del sociologo Francesco Macrì, un aumento del 40,5% nei comportamenti di binge drinking tra le giovani donne di età tra i 21 e i 25 anni. Il “binge drinking” comporta l’assunzione di cinque o più bevande alcoliche consecutive, con l’obiettivo di raggiungere rapidamente uno stato di ebrezza che altera le percezioni, aumenta la fiducia, favorisce la socializzazione, compromettendo tuttavia in brevissimo tempo la capacità di valutare, e determinando, a lungo termine, danni irreversibili agli organi. Indipendentemente dal tipo di bevanda, per gli uomini significa bere almeno 5 unità alcoliche consecutive; per le donne da 3 a 4. L’unità alcolica corrisponde a circa 12 grammi di etanolo.
Questo “rituale” di consumo avviene spesso durante feste, serate nei locali o raduni all’aperto, dove il bere viene visto come un’attività sociale o addirittura “goliardica”. È comune tra i giovani, addirittura come mezzo di competizione, mescolare diversi tipi di bevande alcoliche, senza controllo né consapevolezza delle quantità ingerite.
Molti giovani mostrano una conoscenza superficiale del fenomeno: sanno che il bere fa male, ma non identificano il binge drinking come un comportamento a rischio specifico. Spesso lo percepiscono come un’abitudine temporanea e innocua o come mezzo di giovialità e divertimento. In molti casi, i ragazzi non associano il binge drinking a conseguenze gravi e durature, come danni cerebrali e dipendenza. Il rischio viene minimizzato, considerato solo un “gioco” o un passatempo del fine settimana, senza rendersi conto che ogni eccesso lascia un segno. È proprio questa leggerezza che rende il fenomeno ancora più pericoloso poiché la mancanza di consapevolezza impedisce di riconoscere il problema e cercare aiuto. L’educazione e l’informazione diventano quindi strumenti fondamentali per prevenire e contrastare una dipendenza che inizia in silenzio ma può cronicizzarsi segnando tutta la vita.
Luogo: Educandato Statale Maria Adelaide
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