Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, per i siciliani si rinnova un copione divenuto ormai intollerabilmente consueto: l’impennata dei costi dei voli e delle tariffe ferroviarie che trasforma ogni spostamento in un privilegio, più che in un diritto. Questa condizione, lungi dall’essere un semplice disagio logistico, si configura come una vera e propria compressione della mobilità, che incide sulla qualità della vita e sulla stessa percezione di appartenenza piena alla comunità nazionale. Per chi è nato in Sicilia e vive altrove, il ritorno a casa non ha nulla del viaggio leggero del turista occasionale: è spesso legato a esigenze inderogabili di cura, di lavoro, di studio, di sostegno alla famiglia. Eppure, ai costi di queste esigenze primarie viene sovrapposto un rialzo sistematico, quasi fosse un tributo dovuto alla geografia, una tassa implicita per il solo fatto di essere isolani. In questa sproporzione economica si consuma una forma sottile ma persistente di discriminazione territoriale.
Il paradosso si acuisce se si considera la natura giuridica della Regione Siciliana, dotata di Statuto speciale. Sulla carta, ciò dovrebbe tradursi in una più robusta capacità di incidere sulle politiche dei trasporti e sulla programmazione dei collegamenti marittimi, aerei e ferroviari. Nella realtà, molte di queste prerogative sono rimaste inerti, come clausole solenni relegate alla dimensione dei principi, raramente trasformate in effettivi strumenti di tutela dei cittadini. Il tema della continuità territoriale, in questo contesto, non può essere derubricato a mera rivendicazione localistica. Si tratta di un nodo che tocca il cuore del principio di eguaglianza sostanziale: un cittadino siciliano dovrebbe poter attraversare il Paese alle stesse condizioni, o quantomeno in condizioni comparabili, rispetto a un cittadino residente nella terraferma. Quando il costo di un biglietto aereo supera ampiamente la soglia di accessibilità per ampie fasce della popolazione, il diritto allo spostamento si svuota di contenuto e diventa un privilegio per pochi.
Da qui discende la necessità di un cambio di paradigma. Non bastano interventi estemporanei, operazioni dal nome accattivante o misure tampone limitate a brevi periodi dell’anno. Occorre una strategia organica, che abbracci l’intero sistema dei collegamenti e metta al centro il residente, non soltanto il flusso turistico. In Italia e in Europa esistono già esperienze concrete di continuità territoriale che mostrano come l’insularità possa essere compensata con strumenti stabili e non meramente emergenziali. Un richiamo a questi modelli rafforza la critica alla situazione siciliana e offre piste operative credibili.
In ambito italiano, la Sardegna rappresenta il laboratorio più avanzato di continuità territoriale: attraverso l’imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte aeree principali tra Cagliari, Olbia, Alghero e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, vengono garantiti collegamenti frequenti e tariffe agevolate per i residenti, con prezzi calmierati e una soglia di qualità minima del servizio. Questo sistema, fondato su contributi pubblici e su regole chiare per i vettori, ha lo scopo dichiarato di assicurare ai cittadini sardi condizioni di mobilità comparabili a quelle della terraferma, riconoscendo esplicitamente l’handicap strutturale dell’insularità.
A livello europeo, il caso spagnolo costituisce un ulteriore riferimento significativo: lo Stato riconosce ai residenti delle Isole Baleari e delle Canarie (nonché di Ceuta e Melilla) uno sconto strutturale sulle tariffe dei voli interni, che può arrivare a coprire una quota rilevante del prezzo del biglietto, riducendo così in modo stabile il costo della mobilità quotidiana. In questo quadro, la continuità territoriale viene trattata come una componente ordinaria delle politiche pubbliche, sostenuta da risorse dedicate e da un impianto normativo che riconosce l’insularità come fattore da compensare e non come destino da subire.
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