Un corpo ritrovato su una montagna, un cronista disilluso che si ritrova ad inseguire verità sepolte, un passato che ritorna in forme inattese. È da questi elementi che prende vita «I fantasmi di Monte Pellegrino», il nuovo romanzo di Giovanni Villino, giornalista e autore palermitano. Il racconto, che si inserisce nel filone del noir mediterraneo, prosegue il percorso del giornalista Salvatore Luce, protagonista del romanzo Negare il Bene. Se nel primo libro Villino raccontava una Palermo attraversata dal male quotidiano, sommerso e sistemico, qui la narrazione si muove su una realtà in cui visibile e invisibile si incontrano.

La storia si apre con un evento tragico: il corpo di un ingegnere, Carlo Cardineletti, viene ritrovato sul costone roccioso a ridosso del belvedere di Monte Pellegrino, in una posa innaturale e con due dita mozzate. È un suicidio? Un messaggio? O forse qualcosa di molto più profondo? A cercare una risposta è Salvatore Luce, giornalista di nera ma anche testimone, parte in causa, e custode di memorie che riaffiorano proprio quando credeva di esserne lontano.


«Con “I fantasmi di Monte Pellegrino” – afferma Giovanni Villino – ho voluto compiere un passo ulteriore nella mia esplorazione narrativa di Palermo. Dopo ‘Negare il bene’, sentivo che c’erano storie ancora sospese, domande irrisolte, personaggi che chiedevano di tornare a vivere. Questo libro è ancora una volta influenzato dalla mia esperienza giornalistica ma va oltre la cronaca: c’è la memoria personale, l’immaginario collettivo, la spiritualità popolare. Palermo non è solo un luogo fisico, ma una stratificazione di sguardi, suoni, assenze. In questo romanzo ho provato a mettere insieme il ritmo del noir con la profondità del vissuto. È un romanzo di tensione, certo, ma anche di amore per la parola, per la giustizia, per chi resta a guardare quando gli altri voltano lo sguardo».

L’indagine si intreccia con una fitta rete di misteri, tra antichi archivi, dossier scomparsi, tensioni familiari, corruzione finanziaria e un volto di Roma inquietante, che affiora con tutto il suo potere simbolico e reale. Ma soprattutto, l’inchiesta tocca una dimensione più profonda e intima: quella dell’invisibile che abita i luoghi e le coscienze.


Il monte simbolo di Palermo, il “più bello del mondo” secondo Goethe, è qui più che uno scenario: è un personaggio. Tra grotte votive, ruderi dimenticati, all’interno del Santuario con i suoi antichi riti legati alla dea Tanit e a Rosalia, la narrazione si carica di un misticismo potente, che non sovrasta la logica del giallo ma ne amplifica le sfumature.

Palermo viene raccontata nei suoi contrasti più estremi: sacro e profano, violenza e bellezza, memoria e oblio. Le strade, le redazioni, i bar, le scuole salesiane, la radio, l’odore della pietra e del vento: ogni dettaglio contribuisce a creare un’atmosfera densa e riconoscibile.

Salvatore Luce è un uomo stanco, pieno di crepe, ma proprio per questo autentico. È ironico, disilluso, emotivamente instabile. È un cronista vecchia maniera, allergico alle notifiche e ai social, con la voce impastata di chi ha visto troppa realtà senza filtri. Ed è anche, profondamente, un uomo che cerca – non solo la verità, ma un senso. Un personaggio che il lettore riconosce e segue con empatia.

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