Sempre più ragazzi, oggi, si trovano a fronteggiare un malessere interiore difficile da nominare, ma fin troppo reale. Un’analisi di questo fenomeno, condotta in parte attraverso un sondaggio rivolto a studenti di scuola superiore, evidenzia una serie di dinamiche psicologiche e sociali che rendono il percorso verso l’età adulta più complicato di quanto non sembri dall’esterno.
L’adolescente può sviluppare una forte insicurezza e una bassa autostima, sentendosi inadeguato rispetto ai coetanei, incapace di riconoscere i propri punti di forza. A questo si aggiunge la paura del giudizio altrui, che genera ansia sociale e spinge spesso a chiudersi in sé stessi o diventare ipersensibili alle critiche.
Non a caso, molti giovani evitano situazioni sociali, temendo di essere giudicati negativamente, e sviluppano una dipendenza dall’approvazione esterna: il loro senso di valore personale finisce per dipendere dal giudizio degli altri. Il problema si aggrava con l’uso dei social media, che favoriscono un confronto continuo e spesso tossico con standard irrealistici di bellezza e successo, aumentando frustrazione e senso di inferiorità.
Alcuni adolescenti cercano di colmare queste lacune con comportamenti estremi, come ossessioni per l’aspetto fisico, diete rigide, esercizio fisico eccessivo, interventi estetici precoci o persino atti rischiosi per ottenere accettazione nel gruppo. Tutto ciò può sfociare in conseguenze psicologiche gravi: ansia, attacchi di panico, depressione o disturbi alimentari come anoressia e bulimia.
Cosa si può fare? La risposta passa da più fronti: costruire un’autostima solida, valorizzando pregi e capacità personali; ridurre il confronto sociale, in particolare online; e soprattutto parlare del disagio, con amici, familiari o professionisti. Anche il coltivare hobby e passioni autentiche può contribuire a ristabilire un equilibrio, svincolato dal giudizio altrui.
Sanremo: la melodia delle emozioni
Il festival di Sanremo non è solo una competizione musicale, ma anche una finestra sul mondo dei giovani e sulle loro sfide. Nell’ultimo Festival alcune canzoni hanno espresso il disagio giovanile e hanno offerto un’opportunità per riflettere sul proprio vissuto e per cercare soluzioni che possano migliorare il proprio benessere. Tra gli artisti che hanno approfondito soprattutto il tema della salute mentale si è distinto Achille Lauro con la canzone “Incoscienti giovani” in cui si parla della confusione e dell’incertezza che caratterizzano la vita dei giovani. La melodia malinconica e il testo profondo raccontano di una generazione che cerca di trovare il proprio cammino in un mondo che sembra sempre più ostile. Un altro autore che ha affrontato il mondo del disagio psichico dei giovani è Fedez con la canzone “Battito” in cui ha esplorato temi come la sofferenza emotiva e le relazioni tossiche, offrendo una riflessione personale a partire dalle proprie esperienze.
La parola aegli studenti
Un campione di ragazzi tra i 16 e i 17 anni ha condiviso il proprio punto di vista attraverso alcune domande-chiave.
Alla domanda se chiedere aiuto a un esperto sia motivo di vergogna o un atto di maturità, tutti gli intervistati hanno risposto che si tratta di un gesto coraggioso e saggio. «Quando non capisco un esercizio – dice M., 16 anni – è giusto chiedere al professore. Non è una vergogna, è normale».
Sul discorso del professor Ernesto Caffo, presidente della Fondazione Child, che sottolinea come una comunicazione efficace favorisca l’apertura e il sostegno, gli studenti concordano: «Quando i professori usano un linguaggio più vicino al nostro – afferma una studentessa – ci sentiamo più liberi di parlare e di esprimerci».
Un tema ricorrente è quello del rifugiarsi nel mondo digitale per sfuggire al senso di inadeguatezza. M. osserva: «Purtroppo oggi è più facile chiudersi nel digitale che affrontare il problema, anche se non è la soluzione più giusta». Al contrario, F., 16 anni, invita a parlarne: «Chiudersi nei videogiochi o nei social è un errore. Meglio aprirsi e confrontarsi con qualcuno».
Quando si parla di scuola, e del fatto che il 75% degli studenti dichiara di provare stress in modo frequente, le risposte divergono: M. suggerisce di aumentare gli spazi di aggregazione, mentre F. preferisce attività ludiche e interattive tra studenti e insegnanti, per creare un ambiente più umano e meno oppressivo.
Infine, la pandemia da COVID-19 ha avuto impatti molto diversi: mentre alcune statistiche segnalano un aumento del 30% negli accessi ai servizi per disturbi mentali, M. racconta che proprio la pandemia l’ha aiutato a migliorare il suo rapporto con gli altri, a uscire dal guscio, a costruire legami più profondi. F., invece, non nota particolari cambiamenti nel suo atteggiamento, ma riconosce che «tutti ci facciamo paranoie su ciò che facciamo. È normale».
La parola all’esperto
Ne abbiamo parlato con Claudia Corbari: psicologa, psicoterapeuta, operatrice di centri antiviolenza, soffermandoci sui modelli, gli standard irraggiungibili della società di oggi.
Per lei, qual è il vero significato di salute mentale?
La salute mentale è un aspetto della nostra salute. In senso più completo, quest’ultima viene definita dall’OMS come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”. Chiaramente la salute dipende da molteplici fattori individuali e sociali ed è frutto dell’equilibrio che la persona raggiunge nelle varie fasi della sua vita.
Cosa determina la paura di non piacere e come incide sulla propria salute mentale?
La paura di non piacere è molto diffusa attualmente e può avere forti ripercussioni da un punto di vista individuale e sociale in quanto spesso contribuisce a diminuire l’autostima con conseguenze in termini di ritiro sociale o difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi che ci si prefigge.
Può essere legata a fattori sociali o personali?
Entrambi. Sicuramente la società ha una grande influenza sull’immagine che ognuno di noi ha di sé e sugli standard da raggiungere in termini estetici e prestazionali, tuttavia ognuno di noi ha una storia ed un equilibrio soggettivo che influisce anch’esso nella paura di piacere o meno.
A causa della pandemia, secondo lei, i casi di disturbi legati alla paura di non piacere sono aumentati o no?
Si, in seguito alla pandemia sono anche aumentate in modo esponenziale le richieste di psicoterapia. Nel corso della pandemia alcuni punti saldi che ognuno di noi aveva fino a quel momento sono stati messi in discussione o in crisi e ciò ha condotto ad una serie di malesseri ed insicurezze, tra le quali quelle legate all’immagine di sé.
La sensazione di non piacere è un fenomeno frequente tra i suoi clienti? Se si, è un fenomeno che appartiene di più agli adulti o agli adolescenti?
Si, è un vissuto abbastanza frequente accompagnato spesso da una mancanza di consapevolezza di sé e dei propri bisogni.
Tale vissuto appartiene sia agli adulti che agli adolescenti anche se in base alla fascia d’età si manifesta in modalità differenti.
Secondo lei, sono le donne a sentire maggiormente il bisogno di piacere?
Credo che sia uomini che donne sentano oggi il bisogno di piacere. Ognuno di noi cerca in qualche misura l’approvazione esterna della propria immagine di sé, tuttavia il problema subentra quando ci si allontana da sé per rispondere ad aspettative esterne. Questo accade sia alle donne che agli uomini.
C’è una correlazione tra non piacersi e bassa autostima? Sulla base della sua esperienza, come si può agire a livello individuale e a livello terapeutico?
Come già accennato, c’è una correlazione tra il non piacersi e la bassa autostima. A livello terapeutico bisogna sicuramente lavorare su un ritorno alla propria individualità, ai propri bisogni e desideri, cercando di far esplorare e avvicinare la persona alla propria autenticità, facendo sì che si possa raggiungere una consapevolezza di ciò che è utile per il proprio benessere e non esclusivamente per rispondere a aspettative e modelli sociali a volte incastranti.
A quali conseguenze si può andare incontro, se una persona non riesce a superare il problema di non piacersi?
Le conseguenze possono essere molteplici. Una tra queste è quella di contribuire ad effettuare cambiamenti o adattamenti individuali non in relazione ai propri bisogni individuali o ai propri desideri, ma esclusivamente per piacere agli altri e trovare approvazione all’esterno. Un tale processo non favorisce il raggiungimento del benessere o della felicità personale, bensì un vissuto di frustrazione e infelicità protratto nel tempo con la possibilità di sentirsi schiacciati da questo vissuto e, dunque la manifestazione di sintomi quali, per esempio, l’ansia e gli attacchi di panico.
Federico Bongiovanni
Mirko Macaluso
Simone Palazzo
Antonio Pecoraro

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