Anche quest’anno, il 26 luglio, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani commemora Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia, che si suicidò qualche settimana dopo la strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e alcuni agenti della scorta.
Rita è diventata con il passare del tempo un simbolo: la sua giovinezza, la sua disperazione, il suo desiderio di libertà e legalità la rendono quasi un’icona pop della giustizia; nel senso che ormai si è impressa nell’immaginario collettivo come la Picciridda e su di lei ormai diversi film, fiction e articoli sono stati prodotti.
La fama acquisita non ha consentito a Rita di vivere una vita spensierata e felice come avrebbe meritato, ma ha nobilitato la figura del testimone di giustizia, facendone capire la delicatezza e l’importanza del ruolo.
Nello stesso giorno in cui è morta Rita, però un anno prima, Andrea Savoca, un bambino di appena 4 anni, venne ucciso insieme al padre, in quanto quest’ultimo era coinvolto in vicende poco chiare che lo avevano portato ad attirarsi le ire dei boss locali.
Andrea, ovviamente, fu una vittima innocente come tanti altri bambini subì la violenza e la prepotenza di adulti malvagi.
L’onestà e l’innocenza in alcuni territori avvelenati dalla criminalità sono qualità difficili da indossare.
Noi ricordiamo Rita e Andrea per tutto quello che rappresentano in modo da rendere giustizia alla loro memoria, attraverso le parole di un giovanissimo studente calabrese, Antonio Milizia, della classe III sez. G, del Liceo scientifico Filolao di Crotone.
““Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita […] Prima di combattere la mafia devi fare un auto-esame di coscienza […] e poi puoi combattere la mafia dentro di te […], la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.
Queste crude riflessioni, tratte dal diario segreto di una ragazza siciliana di 17 anni, Rita Atria, fotografano in modo lucido e realistico la realtà omertosa da cui la mafia da sempre trae linfa vitale. Queste parole, risalenti al giugno 1992, poche settimane prima della Strage di via D’Amelio in cui persero la vita il magistrato e 5 agenti della scorta, assumono un lugubre significato premonitorio.
“La picciridda” (così veniva affettuosamente chiamata da Paolo Borsellino) privata dell’unica persona al mondo capace di donarle speranza in un mondo diverso e onesto, decide che solo la morte avrebbe potuto restituirle il sogno di una vita eterna accanto al suo Paolo.
Il 26 luglio del 1992, si lancia dalla finestra del suo rifugio romano.
Rita Atria nasce a Partanna (TP) nel 1974 da padre affiliato alla cosca di un boss locale. Il muro di omertà, silenzio e violenza in cui vive, verrà, però, presto frantumato dalla tenacia di Piera Aiello, sua cognata, donna volitiva che assiste a sua volta alla morte di suo marito (anch’egli uomo d’onore) nonché fratello di Rita.
La scelta di Piera, divenuta testimone di giustizia, reca molto disonore alla famiglia. Anche Rita, da lì a poco deciderà di seguire l’esempio della cognata e di avvicinarsi al procuratore Borsellino. Fatta trasferire a Roma, entrerà nel programma di protezione testimoni fornendo informazioni cruciali per l’arresto di molti mafiosi.
Sua madre distruggerà a martellate la sua lapide ma non l’esempio di amore per la giustizia che ancora rimbomba come un’eco assordante.”
“Finché giudici come Falcone, come Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità contro tutto e tutti. L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo” (Rita Atria).
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.
Prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU
Questo contenuto è un comunicato stampa. Non è passato dal vaglio della redazione. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore.
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