Dal 60% promesso al 36% effettivo: cronaca di un’agevolazione azzoppata

di Andrea Sangregorio – Dottore Commercialista, esperto in Finanza Agevolata e Fondi Europei

La vicenda del credito d’imposta ZES Unica rappresenta un caso paradigmatico di come le politiche incentivanti possano tradire il proprio scopo originario. Attraverso l’analisi dei provvedimenti del 12 Dicembre dell’Agenzia delle Entrate che hanno definito le percentuali effettive di contributo, emerge un quadro preoccupante: la drastica riduzione delle agevolazioni non solo vanifica l’effetto incentivante, ma mina alla radice il principio di affidamento che dovrebbe governare i rapporti tra Stato e sistema produttivo.

La ratio degli incentivi: correggere i fallimenti di mercato

Le politiche incentivanti non nascono come elargizioni benevole dello Stato, ma rispondono a una precisa logica di politica economica. Quando un investimento presenta caratteristiche tali da renderlo non sostenibile per l’operatore privato nel breve periodo — pur essendo strategico per la sua azienda — si configura quello che la teoria economica definisce un “fallimento di mercato”. È in questi casi che l’intervento pubblico, sotto forma di incentivo, trova la propria giustificazione: colmare il divario tra il costo privato e il beneficio sociale dell’investimento. La giustificazione teorica dell’intervento pubblico a sostegno degli investimenti privati trova le proprie radici nell’economia del benessere e, in particolare, nella teoria delle esternalità elaborata da Arthur Cecil Pigou.  Nel suo fondamentale The Economics of Welfare (1920), Pigou introdusse la distinzione tra prodotto marginale privato e prodotto marginale sociale, dimostrando come in presenza di esternalità il mercato tenda a produrre allocazioni sub-ottimali delle risorse.


Nel caso della ZES Unica, istituita dall’articolo 16 del D.L. 124/2023, il legislatore ha inteso stimolare gli investimenti produttivi nelle regioni del Mezzogiorno — Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Abruzzo — attraverso un credito d’imposta commisurato all’ammontare degli investimenti in beni strumentali. L’aliquota teorica, modulata sulla base della dimensione aziendale e della localizzazione geografica, poteva raggiungere il 60% per le piccole imprese nelle zone assistite più svantaggiate. Gli investimenti produttivi nelle regioni della ZES Unica generano molteplici esternalità positive che l’imprenditore privato non è in grado di catturare nel proprio conto economico. Tali esternalità trovano riconoscimento nella normativa europea sugli aiuti di Stato, che consente intensità di aiuto differenziate proprio in ragione degli “svantaggi strutturali” delle aree assistite. (Esternalità occupazionali, Spillover tecnologici e di conoscenza, Economie di agglomerazione, Esternalità fiscali)

Nella mia esperienza ultraquindicinale nella gestione di fondi europei e nazionali, ho potuto osservare come l’efficacia di uno strumento incentivante sia direttamente proporzionale alla sua prevedibilità. Un imprenditore che decide di investire basandosi su un’agevolazione promessa compie un atto di fiducia verso lo Stato: assume impegni finanziari, contrae debiti, mobilita risorse, sulla base di un calcolo economico che incorpora il beneficio atteso.

La sequenza dei provvedimenti emanati dall’Agenzia delle Entrate racconta una storia di aspettative tradite e di incertezza crescente.

Primo provvedimento: 22 luglio 2024 (prot. n. 305765/2024)

Il primo colpo arriva nell’estate del 2024. A fronte di richieste per 9,45 miliardi di euro presentate tra il 12 giugno e il 12 luglio 2024 e di uno stanziamento di 1,67 miliardi, l’Agenzia delle Entrate comunica una percentuale di fruibilità del 17,6668%. Un dato che scatena reazioni veementi nel mondo imprenditoriale: chi aveva pianificato un investimento contando su un credito del 60% si trova improvvisamente con un beneficio ridotto a meno di un quinto del previsto.

Secondo provvedimento: 12 dicembre 2024 (prot. n. 446421/2024)

La situazione si normalizza parzialmente con il D.L. 113/2024 (Decreto Omnibus) che introduce la comunicazione integrativa e stanzia risorse aggiuntive. Il provvedimento di dicembre certifica una percentuale del 100%, ma solo perché molti operatori, scoraggiati dal dato di luglio, hanno rinunciato a confermare gli investimenti. Le richieste effettive scendono a 2,33 miliardi a fronte di 3,27 miliardi disponibili.

Terzo provvedimento: 12 dicembre 2025 (prot. n. 570046/2025)

La storia si ripete, aggravata. Per gli investimenti 2025, a fronte di richieste per 3,64 miliardi di euro e di uno stanziamento di 2,2 miliardi, la percentuale di fruibilità si attesta al 60,3811%. In termini concreti, il credito effettivo sull’investimento scende a circa il 36% — ben lontano dal 60% prospettato in fase di pianificazione.

Il quadro è ancora più critico se guardiamo alla ZES agricola, dove la percentuale di contributo riconosciuto va dal 15% al 18%. 

Il tradimento dell’affidamento: conseguenze sistemiche

La questione non è meramente contabile. La riduzione delle agevolazioni in forza delle quali gli investimenti sono stati realizzati costituisce una violazione del principio di affidamento che deve governare i rapporti tra Stato e cittadino. Un imprenditore che nel primo trimestre 2025 ha acquistato un macchinario da un milione di euro, pianificando un credito d’imposta di 500.000 euro, si trova oggi a dover rivedere drasticamente i propri flussi di cassa, potendo contare solo su circa 300.000 euro.

“L’attuale meccanismo di calcolo del credito d’imposta si sta rivelando rischioso per le PMI, generando incertezza su importanti nuovi investimenti. I punti di riferimento sono fondamentali nei modelli di crescita del territorio, non dare certezze quantomeno su una forbice attendibile di agevolazione è un errore strategico.”

— CNA Sicilia e Siracusa, dicembre 2025

Le conseguenze si riverberano su più livelli. Sul piano finanziario, la riduzione inattesa del beneficio può compromettere il rispetto dei covenant bancari, con potenziali richieste di rinegoziazione o accelerazione del rimborso dei debiti. Sul piano strategico, si genera un clima di sfiducia che scoraggia la pianificazione di nuovi investimenti.

L’effetto a catena: quando l’incertezza diventa sistemica

Il meccanismo del “tetto di spesa” — il cosiddetto sistema “a rubinetto” — presenta un paradosso intrinseco. Se da un lato tutela la finanza pubblica da emorragie impreviste, dall’altro introduce un elemento di aleatorietà che contraddice la stessa ratio dell’incentivo. L’imprenditore conosce l’entità effettiva del beneficio solo ex post, quando l’investimento è già stato realizzato e i costi sono già stati sostenuti.

Nel momento in cui l’incentivo risulta sistematicamente inferiore rispetto alle aspettative legittime degli operatori, si innesca un effetto a catena potenzialmente devastante per il tessuto produttivo. L’impresa delusa oggi sarà l’impresa diffidente domani: il prossimo bando vedrà pianificazioni più conservative, investimenti ridimensionati, o semplicemente la rinuncia a cogliere opportunità che sarebbero state strategiche per la crescita.

È il cortocircuito della politica incentivante: nata per stimolare investimenti che il mercato non realizzerebbe spontaneamente, finisce per alimentare quella stessa diffidenza che rendeva necessario l’intervento pubblico.

Prospettive e correttivi necessari

La vicenda ZES Unica impone una riflessione profonda sul disegno delle politiche incentivanti. Non basta stanziare risorse se poi il meccanismo di erogazione vanifica l’effetto incentivante. Alcune linee di intervento appaiono imprescindibili.

In primo luogo, occorre ripensare il meccanismo del plafond. L’attuale sistema trasferisce interamente il rischio finanziario dallo Stato alle imprese. Sarebbe preferibile introdurre meccanismi di prelazione cronologica (“first come, first served”) o, quantomeno, rendere nota in anticipo una stima attendibile della percentuale di copertura.

In secondo luogo, è necessario garantire la stabilità temporale degli incentivi. La continua stratificazione di decreti, provvedimenti e modifiche normative genera un’incertezza che scoraggia la pianificazione di medio-lungo periodo, proprio quella che le politiche di sviluppo dovrebbero invece favorire.

Infine, occorre dimensionare adeguatamente le risorse. Se le richieste superano sistematicamente le disponibilità, il segnale è chiaro: il fabbisogno di sostegno agli investimenti nel Mezzogiorno è superiore a quanto preventivato. Ignorare questo dato significa condannare la politica incentivante all’inefficacia.

Conclusioni

La ZES Unica nasceva con l’ambizione di rappresentare uno strumento strategico per il rilancio del Mezzogiorno. I numeri delle richieste — oltre 9 miliardi nel 2024, oltre 3,6 miliardi nel 2025 — testimoniano un interesse autentico del sistema produttivo. Tuttavia, la sistematica riduzione dei benefici effettivi rispetto a quelli attesi rischia di trasformare un’opportunità in un boomerang.

Come professionista che da oltre quindici anni accompagna le imprese nei percorsi di finanza agevolata — dalla gestione di progetti complessi come consulente in Invitalia, al coordinamento di investimenti finanziati con fondi strutturali europei per la PA— posso affermare che la certezza del quadro incentivante è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per attivare processi virtuosi di sviluppo.

Un incentivo che tradisce le aspettative non è un incentivo: è un deterrente. E un deterrente agli investimenti è esattamente ciò di cui il Mezzogiorno non ha bisogno.


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