Oltre lo stretto

Il tesoro di Mollica, confiscati dalla Finanza di Roma beni per 170 milioni all’imprenditore siciliano

Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma stanno eseguendo un decreto di confisca di compendi societari, immobili, autoveicoli e rapporti finanziari, per un valore complessivo di oltre 170 milioni. Destinatario del provvedimento è Pietro Tindaro Mollica, noto imprenditore di origini siciliane attivo nel settore degli appalti di opere pubbliche, tratto in arresto dalle Fiamme Gialle, nel marzo 2015, per bancarotta fraudolenta, estorsione e intestazione fittizia di beni.

Il decreto di confisca è stato emessa dalla Sezione Specializzata Misure di Prevenzione del Tribunale confermato dalla Corte di Appello capitolina e divenuto definitivo, da ultimo, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione. Tra gli immobili confiscati spicca un appartamento di pregio nel quartiere Parioli, a Roma, finemente arredato e affacciato sul parco di Villa Ada.

L’operazione di oggi costituisce l’epilogo di meticolose indagini patrimoniali, eseguite dagli specialisti del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e coordinate dalla locale Procura della Repubblica, finalizzate alla ricostruzione della “carriera criminale” dell’imprenditore, al termine delle quali è emerso come, a fronte della titolarità, diretta o indiretta, di un ingentissimo patrimonio mobiliare e immobiliare, lo stesso non avesse un profilo reddituale tale da giustificare il possesso di queste ricchezze.

Numerosi sono i trascorsi giudiziari del destinatario del provvedimenti, coinvolto in molteplici vicende penali, tra le quali quella connessa al crack del consorzio romano Aedars, nel cui contesto sono emersi stretti rapporti, personali e d’affari, tra Mollica e soggetti contigui a consorterie criminali, anche di matrice mafiosa, come gli imprenditori Francesco Scirocco – ritenuto vicino ai clan di Cosa Nostra dei Tortoriciani e dei Barcellonesi, tra i soci fondatori del consorzio – e Vincenzo D’Oriano, pregiudicato in rapporto con il clan camorristico dei Cesarano e amministratore di fatto di una delle società consorziate. L’accertata, netta sproporzione tra il patrimonio accumulato e i redditi dichiarati, insieme alla pericolosità sociale dell’uomo, ha condotto al sequestro dei beni a lui riconducibili, eseguito nel 2015, ora definitivamente incamerati dallo Stato.

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