Il 17 marzo 2023, la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato d’arresto contro il presidente russo Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra per la deportazione illegale di bambini ucraini durante il conflitto in Ucraina.

Un provvedimento che ha posto il leader del Cremlino sotto i riflettori della giustizia internazionale. Tuttavia, in Italia, questo mandato sembra essere destinato a rimanere un semplice pezzo di carta. Secondo un’esclusiva del Corriere della Sera, infatti, il ministro della Giustizia Carlo Nordio non ha mai trasmesso l’ordine dei giudici dell’Aia alla Procura generale di Roma, un passaggio necessario per renderlo esecutivo presso la Corte d’appello.

Il contesto del mandato della CPI

La Corte Penale Internazionale, con sede all’Aia, ha accusato Putin e la commissaria russa per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belova, di aver orchestrato la deportazione forzata di migliaia di bambini dalle aree occupate dell’Ucraina verso la Russia. Questi atti, considerati crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma, violano le Convenzioni di Ginevra e il diritto internazionale umanitario.

Il mandato, emesso dalla Seconda Camera Preliminare della CPI, presieduta dal giudice italiano Rosario Aitala, si basa su prove che dimostrano un piano sistematico di trasferimento e rieducazione forzata di minori ucraini, spesso separati dalle loro famiglie e sottoposti a pressioni psicologiche per assimilarli alla cultura russa. Secondo il procuratore capo Karim Khan, tali azioni non possono essere considerate un “sforzo umanitario”, come sostenuto da Lvova-Belova, ma un’operazione illegale che potrebbe persino configurare elementi di genocidio.

L’articolo 27 dello Statuto di Roma stabilisce che nessuna immunità, né personale né funzionale, può essere invocata davanti alla CPI per crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio. Questo principio ha permesso di spiccare il mandato contro Putin, nonostante il suo status di capo di Stato in carica. Tuttavia, la Russia non è parte dello Statuto di Roma e non riconosce la giurisdizione della Corte, rendendo l’esecuzione del mandato dipendente dalla cooperazione degli Stati membri, come l’Italia.

La mancata trasmissione degli atti

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il mandato della CPI è fermo da oltre due anni negli uffici del ministero della Giustizia in via Arenula. La legge italiana del 2012 obbliga il ministro della Giustizia a trasmettere le richieste della CPI al procuratore generale, che a sua volta le inoltra alla Corte d’appello per l’esecuzione. Tuttavia, Nordio non ha mai avviato questa procedura, rendendo il mandato inefficace sul territorio italiano.

Questa omissione non sembra essere una svista burocratica. Il Corriere suggerisce che si tratti di una “scelta politica” del governo Meloni, in linea con la posizione adottata in altri casi controversi, come quello del premier israeliano Benjamin Netanyahu, anch’egli destinatario di un mandato della CPI per crimini di guerra a Gaza. Il governo italiano, secondo il quotidiano, considera i capi di Stato in carica protetti da un’immunità che li preserva da azioni giudiziarie, almeno fino al termine del loro mandato.

Questa interpretazione, però, è in netto contrasto con la posizione della CPI, che ribadisce come l’immunità non sia applicabile per i crimini più gravi. La mancata cooperazione dell’Italia ha già attirato l’attenzione della Corte, che ha avviato una procedura per “accertamento di mancata cooperazione” nel caso del generale libico Almasri, rilasciato nel 2023 dopo un fermo ritenuto irregolare.

Il precedente del caso Almasri

Il caso di Almasri offre un parallelo significativo. Il generale libico, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, fu fermato in Italia ma rilasciato dopo 48 ore e rimpatriato con un volo di Stato. Anche in quell’occasione, il ministero della Giustizia non trasmise la documentazione necessaria, causando la scarcerazione. Questo episodio ha portato all’apertura di un’inchiesta da parte del tribunale dei ministri, che coinvolge Nordio, Meloni, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.

Ora, la mancata trasmissione del mandato contro Putin sembra seguire lo stesso schema, rafforzando l’impressione di una linea politica coerente, ma controversa, che privilegia l’immunità dei leader stranieri rispetto agli impegni presi con la CPI.

Le reazioni politiche in Italia

La notizia ha scatenato un acceso dibattito politico. Il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, ha definito la scelta di Nordio “una decisione politica gravissima” che “getta un’ombra sulla credibilità internazionale del governo Meloni”. In una dichiarazione rilasciata alla stampa, Magi ha chiesto che Nordio e Meloni “vengano immediatamente in aula a spiegare questa situazione”, ironizzando sul precedente del caso Almasri: “Anche stavolta Nordio si giustificherà dicendo che il mandato d’arresto era scritto in inglese?”.

Le implicazioni internazionali

La decisione italiana si inserisce in un contesto globale complesso. La CPI ha emesso mandati di arresto non solo contro Putin e Lvova-Belova, ma anche contro altri alti funzionari russi, come l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e il generale Valery Gerasimov, per crimini commessi in Ucraina. Anche questi mandati, secondo il Corriere, sono fermi al ministero della Giustizia italiano, rendendoli ineseguibili.