La seconda sezione civile del tribunale di Palermo presieduta da Liana Pernice  ha condannato l’Amap, la società che gestisce il servizio idrico nel capoluogo siciliano e in provincia, a restituire i canoni di depurazione riportati in bolletta ad un condominio nel quartiere Villaggio Santa Rosalia a Palermo difeso dall’avvocato Rosario Dolce.

La ragione: non aver dimostrato che l’immobile fosse servito anche dell’impianto di depurazione. “La quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in ogni bolletta dell’Amap, dal 2000, è divenuta una componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato – spiega il legale del condominio – , configurandosi come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, per quanto determinata nel suo  ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul  patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza”.

Se ne deduce che in caso di mancata fruizione, da parte dell’utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile, è irragionevole, per  mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio. Pertanto, il condominio, gestito dalla amministrazioni Belmonte, con riferimento al periodo oggetto della fatturazione posta a base di un decreto ingiuntivo – in assenza di prova offerta dall’Amap – è stato liberato dall’obbligo di versare a quota di tariffa riferita al servizio di depurazione (circa quattro mila euro).

Inoltre, a fronte delle fatture già pagate, l’Amap è stata condannata a restituire gli importi versati a titolo di canone di depurazione per la somma di circa duemila euro.

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