La quarta sezione penale del tribunale di Palermo ha assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” gli impresari teatrali Antonino e Franco Zappalà dal reato di bancarotta per distrazione, di reimpiego di beni di provenienza illecita. I giudici hanno dichiarato non dolosa, dunque non rivolta a danneggiare i creditori o a nascondere qualcosa, la non precisa tenuta della contabilità, riqualificando il fatto in bancarotta semplice documentale e dichiarandone la prescrizione.

I due imprenditori padre e figlio erano finiti sotto processo per il fallimento della società cooperativa figli d’Arte Zappalà.

Franco e Antonino, difesi dall’avvocato David Grasso Castagnetta nel corso del processo, durato tre anni, hanno dimostrato di non aver sottratto beni alla società e aver dato prova che la struttura teatrale era sempre stata di proprietà di Antonino Zappalà. Secondo l’accusa, i due imputati avrebbero distratto dalla struttura del teatro Tenda, di 760.000 euro trasferendola ad Antonino Zappalà prima del fallimento e avrebbero, inoltre, distrutto o nascosto la contabilità della società per non consentire ai creditori di ricostruire il patrimonio sociale. Insomma avrebbero pilotato il fallimento della società che gestiva il teatro per evitare di pagare debiti per 760 mila euro.

Antonino e Franco Zappalà sono stati condannati a due anni pena sospesa per di avere “sistematicamente inadempiuto le obbligazioni fiscali”. “Non abbiamo potuto adempiere alle obbligazioni fiscali – dice Franco Zappalà – a causa della mancanza di liquidità conseguente al venir meno dei contributi regionali in quegli anni”.