C’era una volta la Fiat. Se fosse una favola a lieto fine, così dovrebbe cominciare la storia del sogno industriale di Termini Imerese. Ma non c’è nessun lieto fine e per la cittadina sulla costa tirrenica il sogno di essere una pedina fondamentale dell’automotive s’è trasformato in incubo. Da oltre dieci anni i cancelli di quell’insediamento produttivo sono chiusi. Chi lavorava in quella fabbrica sta invecchiando, aggrappato ai sussidi, senza più una concreta speranza di tornare a lavorare.  BlogSicilia racconterà la storia dello stabilimento Fiat di Termini Imerese con un video reportage a puntate, realizzato da Antonio Turco, dal titolo “Termini Imerese, Fiat e il sogno spezzato”. La prima puntata del documentario breve andrà in onda domenica 20 febbraio alle 21, in diretta su BlogSicilia e sulla pagina facebook di BlogSicilia.

C’era una volta la Fiat. Quaranta anni di storia tra contributi pubblici e promesse mancate

Ancora oggi non è chiaro cosa sia successo esattamente. Quello stabilimento viene progettato nel 1967 dopo quasi venti anni di tira e molla tra la Regione siciliana e la Fiat. Nell’immediato dopoguerra, il governo regionale avviò delle trattative con l’azienda del Lingotto per portare un pezzo di quel gruppo industriale nell’isola. Ma da Torino chiedevano tutto e di più.  Alla fine degli anni Sessanta, grazie ai buoni uffici dell’allora presidente di Sicindustria Mimì La Cavera, il contratto venne firmato. E nacque SicilFiat, una joint venture tra la società piemontese e la Regione siciliana.  La politica mise a disposizione i denari necessari a far partire quello stabilimento.

Il destino di un’area industriale tra la pasta e le quattro ruote

La politica era di fronte a una scelta. Quella piana su cui già sorgeva la gigantesca centrale elettrica dove diventare una zona industriale. Le ipotesi sul tappeto erano due: una grande area per l’industria della pasta o dedicarsi alle quattro ruote. Si scelse per la meccanica pesante. Ai contadini della zona vennero espropriati i terreni con rimborsi che è un eufemismo definire “simbolici”.  SicilFiat avrebbe dovuto costruire auto e fornire formazione professionale ai giovani siciliani. Si pensava soprattutto ai ragazzi del Belice, un’intera generazione di picciotti rimasti con un pugno di mosche in mano per il terremoto che nel 1968 aveva squassato la Sicilia occidentale. Le linee di produzione delle macchine si misero in moto all’alba degli anni 70, ma dei corsi di formazione non se ne seppe più nulla.

Lo stabilimento fu completato nel 1970 grazie ad un consistente contributo della Regione erogato al gruppo Fiat per ottenerne la localizzazione nel territorio, con un’occupazione iniziale di 350 addetti. Parte da lì’ una storia di contribuzione pubblica durante oltre un trentennio. Nel 1977 la Fiat acquisì la totalità delle azioni, per cui lo stabilimento divenne uno dei tanti del gruppo con una forza lavoro che era in quel momento di circa 1500 addetti.

C’era una volta la Fiat, l’impianto modello che non si fermava mai

Nonostante fosse svantaggiato dal punto di vista geografico, quello di Termini Imerese era diventato un impianto modello. Era la fabbrica che non si fermava mai. Tre turni da 8 ore producevano utilitarie a più non posso per l’esigenze dell’italiano medio. Nello stesso opificio, poi, venivano prodotti i modelli da inviare sui mercati europei. Osservare dall’alto, dall’autostrada Palermo Catania appena costruita, quei  400 mila quadri di area era uno spettacolo. Nei parcheggi e sul tetto della fabbrica venivano esposti i modelli appena sfornati, Un caleidoscopio di colori e meccanica dimostrava la bontà di quella scelta industriale.

Erano tutti contenti. I lavoratori erano orgogliosi di indossare la tuta da lavoro con il marchio Fiat e, per i politici siciliani, quello stabilimento era motivo d’orgoglio. Ma anche di spese. Perché a Torino sapevano di poter contare sullo Stato e sulla Regione. Quando la crisi incombeva si apriva il portafoglio pubblico e si pagava la cassa integrazione.  Termini Imerese superò la crisi petrolifera degli anni 70, quando la guerra in Medio Oriente aveva fatto schizzare alle stelle il prezzo del petrolio.

La produzione crebbe a dismisura grazie ai contributi dell’Agenzia per lo Sviluppo del Sud che garantiva incentivi per compensare il gap dovuto al trasporto dalla Sicilia verso il resto d’Europa tanto che nella seconda metà degli anni ottanta a Termini la forza lavoro era più che raddoppiata arrivando a 3.200 operai con almeno 1.200 nell’indotto.

C’era una volta la Fiat, la crisi inizia negli anni 90

Nel 1993 iniziò la crisi del settore auto in concomitanza con l’inizio della produzione della Tipo e si verificò la prima ristrutturazione aziendale; ebbe così inizio la cassa integrazione a rotazione. Il numero di occupati continuò a scendere fino ai 1900 dell’ultimo periodo di vita in seguito alle ripetute riorganizzazioni della forza-lavoro. In conseguenza del calo delle vendite del gruppo Fiat lo stabilimento di Termini Imerese venne inserito tra quelli economicamente poco competitivi secondo i piani aziendali, in quanto buona parte della componentistica per l’assemblaggio delle vetture era prodotta nel Nord Italia e ciò faceva aumentare i costi a causa del trasporto. Tra il 1991 e il 2001 il numero di addetti occupati si ridusse di 1.134 unità. Ma a determinare questa classificazione fu la fine dei contributi al trasporto visto che lo Stato non investiva più nel Sud, l’Agenzia era ormai chiusa da tempo e lo sviluppo era affidato, in modo crescente, più ai fondi comunitari che non a quelli statali. Fondi con regole diverse, che non potevano e non possono essere erogati ad un privato perché rappresenterebbero concorrenza sleale.

ll terzo millennio non si presentò nel modo migliore. Dalla crisi finanziaria di Wall Street a una recessione mondiale il passo fu brevissimo. Gli industriali del settore auto compresero che era giunto il momento di voltare pagina. La parola d’ordine divenne “delocalizzare”.

Marchionne chiude lo stabilimento

Nel 2002 inizia la fase grave della crisi con il licenziamento di 223 dipendenti e si comincia a parlare di chiusura. Nonostante scioperi e battaglie la forza lavoro scese a 1.536 unità con il calo anche dell’indotto a circa 800. Nel giugno 2009 dopo lunghe trattative e promesse di intervento regionale e nazionale la Fiat confermava la produzione della Lancia Ypsilon fino al 2011 ma dietro revisione dell’accordo di programma. In poche parole altri soldi pubblici a compensare la sostenuta anti economicità dello stabilimento. Quelli investiti in quegli anni furono quasi 100 milioni. Ma nel gennaio 2010, arriva ugualmente la notizia della chiusura della fabbrica siciliana che avverrà formalmente il 26 novembre 2011 con l’ufficializzazione dell’accordo sulla parte economica riguardante gli incentivi alla mobilità (altri soldi pubblici) per gli ultimi lavoratori dello stabilimento, e dismesso definitivamente dalla Fiat il 31 dicembre 2011.

Da allora è stato uno stillicidio di idee poco credibili o addirittura fantasiose che sono andate dalla possibilità di insediare la Dr Motors (mai approdata davvero)  fino alla realizzazione di studi televisivi e cinematografici nello stabilimento le cui ‘mura’ restano di proprietà pubblica.

Tutte vicende che apparivano chiaramente ‘peregrine’ ma utili a spendere altro denaro pubblico fra contributi rilasciati da Invitalia ai progetti di riconversione e cassa integrazione straordinaria o mobilità rinnovata per gli operai ‘diretti’ ex Fiat ben oltre i limiti di legge. La scusa ufficiale era sempre la possibilità di rilancio o di riapertura, possibilità alla quale, in realtà, non ha mai creduto nessuno o quasi.

C’era una volta la Fiat, i grandi progetti di rilancio finiti in tribunale

Ma veniamo ai giorni nostri. Dal primo gennaio 2015 lo stabilimento passa alla Blutec (dietro la quale si dice sempre ci sia Fiat), società del gruppo Metec (Stola) per la produzione di componenti per auto, con il sostegno di finanziamenti erogati da Invitalia. Il piano prevede riconversione e aggiornamento della linea produttiva e progressivo reimpiego degli operai a iniziare dai primi novanta riassunti a ottobre del 2015 per fare la formazione sulla nuova linea e poi trasmettere le conoscenze man mano agli altri che andavano rientrando e che nel frattempo potevano contare sulla cassa integrazione straordinaria.

Blutec si rivela un boomerang. Gli amministratori verranno arrestati e l’operazione Termini Imerese si rivelerà un disastro: l’accusa formulata dai magistrati nei confronti dei manager di Blutec sarà di malversazione ai danni dello Stato. In pratica, in Sicilia erano arrivati per drenare i copiosi finanziamenti pubblici stanziati per il rilancio di quel sito industriale. Adesso con il Pnrr si parla di rilancio per quel sito industriale. Ma gli operai di Termini Imerese sono stanchi e hanno i capelli bianchi. Da più di dieci anni, la domanda appesa nell’aria è sempre quella: quando torneremo a lavorare?

C’era una volta la Fiat, le testimonianze di chi è in prima linea

Nel reportage che porta la firma di Antonio Turco potrete ascoltare le testimonianze di quei lavoratori e i contributi di politici e sindacalisti che hanno seguito in prima persona la vertenza, da Totò Burrafato (ex sindaco di Termini Imerese) a Roberto Mastrosimone, storico leader della Fiom Cgil.

 

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