A Talk Sicilia, la regista e scrittrice Francesca La Mantia ha presentato la sua ultima opera, un romanzo verità dedicato a Cosimo Cristina, il giornalista  ucciso dalla mafia 63 anni fa. Il romanzo si intitola “Un uomo senza paura, D’Artagnan, la storia del primo giornalista suicidato” Il romanzo sarà disponibile in tutte le librerie a partire dal 26 maggio.

Questo è il mio sesto libro, è un romanzo a cui tengo particolarmente, perché è un romanzo frutto di sette anni di indagine. Lo ho scritto a quattro mani con Angelo Urgo, bravissimo autore. Abbiamo impegnato tantissime energie nella ricerca”, racconta la scrittrice.

“Cosimo Cristina, per me è diventato un amico”

Cosimo Cristina era un ragazzo , quando ha cominciato a scrivere aveva soltanto venti anni. A me ha fatto tanta tenerezza. Scriveva per L’Ora, per La Stampa e Il Gazzettino di Venezia, per tantissimi giornali nazionali. Ma era un precario. Andava in bicicletta, con la macchina fotografica e il taccuino. Arrivava sempre prima di tutti. Quando andava a Palermo partiva alle 06 di mattina col treno e tornava a casa con l’ultimo treno di mezzanotte.

“In sette anni di indagini, Cosimo è diventato  per me un amico.  Aveva una fissazione: capire le cause di tanti morti che restavano un mistero, contadini uccisi, gente sventrata, persone crivellate di pallottole, casi che venivano archiviati come opera d’ignoti. Cosimo voleva scoprire mandanti ed esecutori di quegli assassinii”.

Cristina iniziò la  carriera di giornalista nel 1955 a vent’anni. Successivamente fondò e diresse a Palermo il periodico «Prospettive Siciliane». Dal 1959 collaborò come corrispondente per L’Ora di Palermo, per Il Giorno di Milano, per l’agenzia ANSA, per Il Messaggero di Roma e per Il Gazzettino di Venezia.

Cristina era giovane e ambizioso, con il periodico da lui fondato seguiva con particolare attenzione la cronaca nera, il fenomeno mafioso e le sue ramificazioni nei territori di Termini Imerese e della vicina Caccamo. Tali attività di cronaca gli costarono la condanna a morte da parte di alcune famiglie mafiose.  Le circostanze dell’assassinio furono studiate per far apparire tutto come se si fosse trattato di un suicidio. Il suo corpo senza vita venne trovato, il 5 maggio 1960,  sui binari delle ferrovie all’interno della galleria Fossola vicino Termini Imerese. Per gli inquirenti nessun dubbio: suicidio.

A sollevare la questione e a far notare alcuni particolari furono prima i parenti, poi i colleghi de L’Ora di Palermo, quindi il coraggioso giornalista Mario Francese (anch’egli successivamente vittima di mafia), ma si dovettero attendere ben sei anni perché il caso venisse riaperto.

Nel 1999 il giornalista catanese Luciano Mirone riesumò il caso e scoprì che nel 1966 il Vice Questore di Palermo Angelo Mangano aveva  scoperto che il cronista era stato ucciso, ed in seguito il corpo deposto sui binari per simulare il suicidio.   A distanza di molti anni, Mirone riprese quel carteggio e lo riportò alla luce, mettendo in risalto le contraddizioni del referto autoptico, sottoposto all’attenzione di Vincenzo Milana, professore di Medicina legale dell’Università di Catania. Chiese quindi alla Procura di Palermo, attraverso una raccolta di firme, la riapertura dell’inchiesta, ma l’esito fu negativo.