“Per quel che concerne il ‘Decreto Liquidita’ , pur esistendo già la modulistica per richiedere le facilitazioni creditizie, in atto non si conoscono ancora le modalità operative/attuative per i provvedimenti a sostegno delle imprese, che sicuramente saranno rese note presto per consentire di fornire un reale e proficuo sostegno alle aziende per la ripartenza”.

Eccola la risposta standard che le banche forniscono ai propri clienti da oltre una settimana. Passando da una banca all’altra cambia qualche termine ma non la sostanza. Una risposta che segue alla richiesta di informazioni da parte delle aziende che vogliono accedere ai prestiti agevolati e che sono stati annunciati come rapidi per immettere liquidità nel tessuto produttivo italiano colpito duramente dal lockdown.

Doveva essere un provvedimento veloce, immediato. Doveva servire a mettere le aziende in condizione di pagare gli stipendi, gli affitti, le scadenze  mensili, le forniture. Doveva permettere agli imprenditori di sopravvivere e alle aziende di non chiudere ed essere in condizione di ripartire. Nulla di tutto questo. Fra Cura Italia e Decreto Liquidità il governo Conte fino ad ora ha messo in campo solo annunci e nessun fatto. E questo si aggiunge ad altre considerazioni. Lo Stato, infatti, i soldi ce li presta e dovremo restituirli.

Cosa vi aspettavate, che i soldi ve li regalavano? è l’obiezione più comune a queste osservazioni. Beh, direi proprio di sì. Ci si aspettava contributi a fondo perduto perché non si tratta di una crisi dovuta alla mia azienda ma di una chiusura che tu, Stato, hai imposto. Non consigliato. Non invitato. Imposto! Ci sono i ‘buoni motivi’ rappresentati dalla tutela della salute pubblica, dall’esigenza di salvare vite. Ma se questo nel comune sentire può legittimare l’azione restrittiva, non toglie dall’obbligo di risarcire. D’altronde anche quando si requisisce una azienda, un capannone o qualsiasi bene privato per motivi di ordine pubblico; perfino quando lo si espropria definitivamente, il privato viene risarcito con soldi pubblici. Questo doveva avvenire. L’Italia doveva essere risarcita non avere in cambio prestiti da ripagare che incideranno sulla ripartenza e sugli anni a venire rendendo la ripartenza stessa più lenta, più faticosa, più economicamente dolorosa e colpendo, alla fine della filiera, sempre il lavoro.

In fondo l’Italia che si lamenta dell’Europa che le presta i soldi e le impone le condizioni, con le proprie aziende si comporta allo stesso modo: presta i soldi e impone le condizioni. Ma, in più, i soldi ancora non ci sono. Sono in ritardo perfino quelli della Cassa Integrazione.

Ma c’è chi, invece, da tutto questo uscirà più forte. Si tratta delle banche, le uniche che ne avranno un vantaggio. Le uniche (o forse una delle categoria) che della solidarietà se ne infischiano e, approfittando del momento, non solo presteranno soldi garantiti dallo stato e intascheranno interessi ma nelle more di questi prestiti hanno deciso anche di aumentare i costi a privati ed aziende.

Usando uno strumento che noi tutti conosciamo ma che spesso ignoriamo ovvero la ‘modifica unilaterale delle condizioni contrattuali’ senza che i clienti se ne siano accorti molte banche hanno aumentato i costi digestione dei conti correnti e quelli delle singole operazioni eseguite da remoto ovvero da casa, in smart working, attraverso quel canale che abbiamo imparato a usare negli ultimi anni: l’home banking.

Un esempio si può fare sui bonifici, le operazioni più comuni e necessarie per privati e aziende. Bene le principali banche hanno portato il costo del singolo bonifico che andava da 50 centesimi a 1,50 fino a 5 euro a seconda della tipologia per le aziende. Ai privati, invece, hanno sospeso i trasferimenti gratuiti di denaro su circuiti bancomat e posto a pagamento i servizi money transfer prima gratuiti. Insomma non possiamo andare allo sportello e la banca ci aumenta i costi delle operazioni on line che prima costavano perfino di meno per scoraggiare proprio all’uso dello sportello. Se si trattasse di frutta e verdura probabilmente sarebbero aumenti ingiustificati e arriverebbero i controlli. Ma parliamo di banche e tutto si può fare

Tutto è contenuto in una semplice comunicazione che riporta come dicitura ‘modifica unilaterale delle condizioni di conto corrente”. Documenti che non leggiamo mai anche perché non c’è una difesa possibile se non quella di recedere dal contratto. Di fatto o accetti le condizioni oppure chiudi il conto. Ma altrove le condizioni non sono diverse. Le banche fanno cartello?  Se così fosse sarebbe una violazione di legge, ma questo non lo sappiamo e non abbiamo mezzi per saperlo

C’è di più. L’occasione emergenza sanitaria ha permesso di chiudere molte filiali e far lavorare le altre solo per appuntamento e dirottare tutto proprio sulla banca on line. Un sistema che alla ripresa, probabilmente, sarà implementato. Gli istituti stanno già pensando ad una ripartenza soft che significherà poca presenza allo sportello e in banca principalmente per appuntamento. Così facendo si chiudono agenzie, si diminuisce il personale e si continua ad invitare gli italiani ad usare sempre di più il sistema home banking al quale ci siamo piegati e abituati ancor di più in quarantena. Per il cittadino e le aziende i costi crescono e il rapporto umano viene sempre meno mentre per le banche le spese diminuiscono e gli utili crescono e senza il fastidio di dover spiegare ad una persona fisica una scelta impopolare, ingiusta, onerosa, unilaterale.

E in tutto questo il sistema pubblico? Irfis, Ircac, Crias? Insomma le casse regionali alle quali sono stati affidati soldi pubblici per aiuti ad aziende, artigiani e così via. Sempre sotto forma di prestiti. Come si comporteranno? Ci sarà da vigilare perché se con un Istituto di Credito privato gli strumenti del cittadino sono scarsi, quando si parla di pubblico le cose cambiano e bisogna evitare che accada quel che troppe volte è successo in passato: contributi e prestiti agevolati ad amici di questo o di quel politico di turno, di questo o di quell’amministratore e, di contro, difficoltà e ostacoli per le aziende che vogliono vivere e operare.

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