Il giorno del ricordo e della resilienza dal massacro delle Foibe e dell’esodo istriano-dalmata. Arriva il 10 febbraio e le emozioni si rimescolano. Lo sa bene Riccardo Rossi, giornalista e volontario della Missione Speranza e Carità di Palermo che condivide la sua storia familiare che rappresenta un pezzo di storia sanguinaria. “Quando si avvicina il 10 febbraio, giorno del ricordo della tragedia delle Foibe, dei tanti morti e dei tanti istriani che sono dovuti scappare per non essere uccisi (tra cui mia nonna, mio padre e mia zia), mi assale la tristezza. Considero questo giorno come una tappa di memoria che dà dignità ad una verità per decenni non raccontata. Allo stesso tempo, però, sono anche felice, perché in tanto odio e violenza, la mia famiglia ha vissuto anche una storia di eroismo”.

La storia

La commemorazione di quest’anno non è solo un momento di tristezza ma anche un’opportunità per onorare il coraggio di chi ha affrontato l’orrore della guerra. La famiglia di Riccardo Rossi, come molte altre, ha vissuto in prima persona il dramma delle Foibe: sua nonna, suo padre e sua zia sono stati costretti a fuggire per salvarsi.

Rossi racconta l’eroismo del suo prozio, Giordano Paliaga, partigiano contro il nazifascismo, che rischiò la vita per avvisare la sorella Maria del pericolo imminente. Grazie al suo intervento, Maria riuscì a scappare con i suoi figli, Arturo e Pierina, abbandonando tutto ciò che conosceva. “Fu un gesto eroico” commenta Riccardo.

Tuttavia, la fuga e il trauma della guerra hanno lasciato cicatrici profonde. Arturo (suo padre), cresciuto con il peso del dolore e della perdita, portò dentro di sé le ferite del passato. La sua infanzia fu segnata da un padre violento e da un ambiente familiare turbolento: “Ogni giorno era un tormento” – ricorda Riccardo rivelando come il dolore accumulato da Arturo si riversasse sui suoi figli.

L’esperienza diretta raccontata da Riccardo Rossi

“Passarono tanti anni e Arturo, crescendo, mise su famiglia sposando Antonia; con lei ebbe tre figli, tra cui me, Riccardo, il più grande- dice ancora -Arturo portava in sé tutto il dolore del ricordo dell’avere lasciato la sua casa natale da piccolo, la sofferenza di un padre che lo martirizzava fisicamente e che lo aveva fatto crescere in un istituto minorile. Tutto questo malessere accumulato lo ha poi scaricato su di me e su mio fratello Maurizio, secondogenito. Ogni giorno, tornava tardi e nervoso a casa, ci rompeva i giocattoli, ci picchiava, ci malediceva e ci umiliava; dopo 47 anni, abbiamo scoperto che prima di rientrare andava a trovare la sorella e i cuginetti”. Poi continua: “Ogni giorno era un tormento, fino alla fine dell’adolescenza- racconta Riccardo Rossi – Crescendo, nei suoi discorsi, percepivo tanto dolore, perché non poteva più tornare nella sua città, Rovigno di Pola in Istria, perché essendo stato anche lui un soldato italiano non era gradito. Quando leggeva la sua tessera di riconoscimento, in cui si evinceva che era nato a Pola, in Iugoslavia (ora Croazia), vedevo lo smarrimento nei suoi occhi. Lui si definiva italiano e non iugoslavo! Insomma, queste ferite spirituali della mia giovinezza me le sono portate dietro fino all’età di 55 anni ( fino a due anni fa), momento in cui ho avuto la consapevolezza della mia guarigione, dopo il mio percorso spirituale sempre più profondo grazie alla lettura, ”fuso in Gesù”, del libro Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo (vergato da Luisa Piccarreta) e ai momenti di preghiera con i Piccoli figli di Palermo”.

Il percorso di guarigione grazie alla spiritualità

La storia di Riccardo è anche un percorso di guarigione. Solo due anni fa ha trovato la consapevolezza della sua liberazione interiore attraverso la spiritualità e la lettura di testi sacri: “Ho avuto la consapevolezza della mia guarigione grazie alla lettura e alla preghiera” spiega citando le opere di Luisa Piccarreta come fonte di ispirazione. Le parole di Gesù nel “Libro di cielo” hanno risuonato profondamente in lui: “Tutto ciò che hai sofferto è servito a formare la mia vita in te”.