La Chiesa di Palermo è in festa per il Santo Natale. Le parrocchie si preparano alle celebrazioni della nascita di Gesù, ed un nuovo anno sta per arrivare. Come lo affronterà la Chiesa? Lo spiega l’arcivescovo di Palermo, che ha tracciato un bilancio risponendo ad alcune domande.
Mons. Lorefice, si appresta a trascorrere il secondo Natale a Palermo da Arcivescovo. In cosa sarà diverso da quello dell’anno scorso?
Questo mio secondo Natale a Palermo mi dà una maggiore consapevolezza di ciò che può essere il Natale. Poiché esso ci ricorda l’incarnazione del Figlio di Dio, penso quest’anno di sapere un po’ meglio come il Signore vuole incarnarsi in questa nostra città, in questo nostro il territorio; come vuole farsi compagno di tutti per portare a tutti la bella notizia della sua venuta tra noi.
Qual è il bisogno più grande di quelli che incontra?
Quando vado tra la gente la parola che sento ripetere più spesso è speranza. Le persone hanno bisogno di speranza e la chiedono a me, perché io possa dare loro una prospettiva positiva per la loro vita.
E lei cosa risponde?
Che questa è la bellezza del Vangelo la quale arriva nella vita degli uomini come prossimità di Dio. Questo può essere oggi un altro modo di interpretare e di capire il senso del Natale. In fondo Natale significa Dio con noi. E quando gli uomini sono con Dio tornano ad avere la gioia nel cuore e riprendono la capacità di sperare.
Ma chi può vivere così?
Penso alla Madonna. Riflettiamo un attimo sulla figura di Maria nel Magnificat. Ella vede in quel momento il mondo con gli occhi di Dio e proprio per questo riesce a vederlo al futuro e quindi con la certezza e la speranza che le derivano dall’ aver toccato con mano che Dio è in mezzo al suo popolo.
Ma questo non è il Natale che siamo abituati a vivere e vedere.
Da questo punto di vista il Natale ha bisogno di essere riscoperto ogni anno, ogni volta, proprio per comprenderne e approfondirne il significato di fondo, anche se poi nei secoli, e soprattutto oggi, in questa nostra società, se ne è perso di vista la specificità, la particolarità.
Come era il suo Natale da giovane? Quali ricordi riporta oggi?
Ancora oggi mi porto nel cuore il ricordo della mia esperienza sia quando stavo ancora in famiglia e poi nella mia giovane esperienza sacerdotale. Ricordo il tempo trascorso nello stare insieme coi giovani, specialmente nel periodo natalizio, quando facevamo brevi periodi di convivenza e avevamo effettivamente la gioia di condividere la Parola di Dio; ma erano anche circostanze di una crescita spirituale che divenivano fondamento per la vita futura per essere in grado di poter compiere le scelte più giuste nella concretezza delle circostanze storiche cui saremmo stati chiamati.
Il Natale a Palermo come si differenzia da quello di Modica e della provincia di Ragusa?
Penso sempre al Natale a Modica, quello trascorso nella parrocchia in cui ero parroco e da cui provengo: fino all’anno scorso sono stato nella “Casa don Puglisi”, con i bimbi e con le mamme che ivi sono accolti. Abbiamo passato insieme momenti molto significativi attraverso le iniziative portate avanti per aiutare la città e i suoi abitanti a saper guardare il mondo dal basso. Quindi per me il Natale è un avvenimento che incide concretamente nella mia vita: l’incarnazione è in fondo la svolta della storia degli uomini, è una svolta che porta l’umanità verso un complimento messianico che manca ancora.
Al pranzo con la sua famiglia mancherà quest’anno suo padre. Che sentimenti le provoca questa mancanza in una festa così importante?
Certamente quest’anno penso percepirò di più la sua assenza. In passato e per tanti anni quando rientravo a casa trovavo tutta la famiglia riunita attorno a lui. Ma so anche che questa è la bellezza e la grandezza della fede. Infatti, adesso lo percepisco come presenza, che arriva proprio dalla potenza della comunione con il Signore. Per cui anche se fisicamente assente, sarà ugualmente con noi; infatti, io e lui condividiamo questa potenza che ci viene dall’incontro che abbiamo fatto con Cristo Gesù: io che sono ancora nel pellegrinaggio terreno e lui che è già un po’ più vicino nella visione di Dio
Il Natale di quest’anno ci ha risparmiato le sterili polemiche sul presepe a scuola. E’ segno di maturità della convivenza tra tutti o di scarso interesse per questo simbolo così caro alla nostra tradizione?
Sono stato invitato a partecipare alla rappresentazione di un presepe vivente in una struttura di accoglienza per bambini nel centro storico di Palermo. Gli organizzatori hanno voluto evidenziare come i pastorelli fossero estrazione non solo di varie etnie, ma anche di varie religioni, soprattutto musulmani provenienti sia dall’Africa che dall’Asia. Ho visto con i miei occhi che tutti partecipavano liberamente, senza alcuna imposizione. Il Natale è la festa della gioia degli uomini perché il Natale ci rimanda innanzitutto alla nascita di un bambino: per noi cristiani è il figlio di Dio, il Messia. Per gli altri però quel bambino può significare, al di là del nome che possono dargli, cioè di come vogliono chiamare Dio, che Dio vuole essere vicino agli uomini, invocato, lodato, servito attraverso l’unica via che può pensare Dio per tutti gli uomini che si chiama a sé: concordia e pace.
Con chi o dove vorrebbe trascorre il Natale?
Mi piacerebbe, per quanto possibile, trascorrere il Natale con tutti, per esempio con tutte le comunità della Diocesi; mi piacerebbe rendermi presente in ogni famiglia di quelle che il Signore mi ha dato; e poi in modo particolare vorrei trascorrerlo con quanti sono segnati in questo momento dalla sofferenza, di ogni tipo e di ogni giorno e di ogni genere. E’ chiaro: per me Natale significa la festa che ci indica la pienezza della felicità che pertanto va condivisa con tutti
Lei ha intrapreso un confronto anche di amicizia con i responsabili di tante religioni anche non cristiane. A queste persone cosa augurerà per Natale?
• In questo momento il mio pensiero va anche a tutti i fratelli e amici delle altre confessioni religiose e delle altre religioni con l’augurio che possiamo contribuire realmente a costruire un mondo di pace per noi e per tutti. Infatti uno dei titoli che noi diamo a Gesù è quello di essere il Principe della pace. Quindi la parola pace ci accomuna tutti e tutti sappiamo che Dio vuole per il mondo solo ed esclusivamente la felicità degli uomini e quindi la pace. Quindi l’augurio che faccio a tutti i capi di tutti i culti e di tutte le religioni è proprio questo: continuiamo a fare strada insieme, continuiamo a dare questa bella testimonianza e questo segno di speranza a tutti gli uomini, perché ne hanno bisogno e perché l’attendono.
L’anno prossimo si ricorreranno i 50 anni dalla morte del cardinale Ernesto Ruffini, di cui in diocesi si vive ancora un forte ricordo. Lei viene da una realtà lontana da Palermo, non ha vissuto quegli anni; come giudica la sua azione pastorale e sociale adesso che ne ha raccolto anche il testimone?
La figura del Cardinale Ruffini coglie l’istanza della povertà, quella di una città come Palermo che ha bisogno di ripensarsi a partire dai più fragili. Quello che lui pensa e soprattutto quello che lui realizza (mi riferisco alle strutture sociali messe in campo in quegli anni, che pur necessitano di essere contestualizzate alla sua epoca) nascono da una mente, da un cuore aperto ai poveri. E’ un vescovo che guarda innanzitutto alle necessità dei più poveri e questo è oggi un tema di grande attualità.
La scorsa settimana ha ricordato in Cattedrale la grande personalità del cardinale Salvatore Pappalardo. Quale è l’eredità cui può attingere la Chiesa palermitana oggi?
Quanto alla la figura di Pappalardo è di grande attualità perché con suo afflato è riuscito a promuovere nella nostra Chiesa una responsabilizzazione del laicato, un impegno per incidere culturalmente e mentalmente dentro la città. E’ una eredità che noi senza dubbio dobbiamo saper recepire e rendere attuale.
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