i dati della ricerca dell'istituto ires

In Sicilia pensioni basse, aspettativa di vita inferiore al resto del paese e servizi inadeguati

La popolazione siciliana invecchia e già nel 2030 le soglie di vecchiaia saranno come quelle delle Regioni del Centro- Nord. Da qui al 2050, quando secondo le proiezioni dell’Istat la Sicilia avrà perso un milione di abitanti a causa di denatalità ed emigrazione, la quota percentuale degli anziani risulterà più alta che nel Nord d’Italia.

Emerge da una ricerca su “La risorsa anziani e la Sicilia- le condizioni sociali degli anziani in Sicilia: da elemento residuale ad attore protagonista”, realizzata dall’ Istituto di studi e ricerche Ires “Lucia Morosini” per conto dello Spi Cgil Sicilia e presentata oggi nel corso del XII congresso regionale dell’organizzazione sindacale che conta nell’isola 190. 826 mila iscritti.

“Questo andamento demografico- ha rilevato il segretario generale dello Spi Sicilia, Maurizio Calà nella relazione d’apertura- si inscrive in un contesto socio- economico in crisi in cui il 29% ( dato 2017) delle famiglie (pari a 580 mila unità) , 6 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente, è in condizione di povertà relativa, cosa che rende più complicato anche accedere alle cure sanitarie e tenere uno stile di vita salutare, con la conseguenza che, come si rileva nella ricerca, la popolazione siciliana, assieme a quella campana è la più esposta ai principali fattori di
rischio per la salute e la speranza di vita alla nascita e a 65 anni è tra le più basse in assoluto a livello nazionale, fino a 4 anni in meno rispetto al Nord”.

La ricerca dell’Ires dà conto anche del fatto che nel 2018 il 30% dei pensionati siciliani (circa 271 mila unità) ha un reddito da pensione inferiore ai 750 euro lordi ( in Italia il 23%) e il 43,2% ha una pensione inferiore a mille euro (il 34,3% i dato italiano).
Se guardiamo alle donne la situazione è ancora più grave: il 39,3% delle donne siciliane over 65 nel 2016 aveva un reddito da pensione che non raggiungeva i 750 euro mensili, a fronte del 19,6% degli uomini della stessa fascia di età”.

“Questo è frutto della mancanza di lavoro, della discontinuità lavorativa e del sommerso”, ha detto Calà. “Oggi – ha
aggiunto- in Italia sono pensionati il 97,1% degli ultrasessantenni mentre in Sicilia solo l’81,5%. Ciò significa che c’è una parte consistente di anziani senza copertura assicurativa. Se guardiamo alle pensioni da lavoro – ha proseguito Calà- la media italiana è del 62,5% mentre in Sicilia siamo al 40,9%”.

Il segretario dello Spi ha dunque sottolineato che “aggredire la crisi diventa dunque un imperativo, per gli anziani ma anche per le giovani generazioni. In questo contesto – ha aggiunto- diventa inoltre fondamentale arrestare il declino del
sistema di protezione sociale e risolvere i problemi che riguardano welfare e sanità, temi su cui – ha sottolineato- il nostro giudizio sull’azione politica del governo Musumeci non può essere positivo”.

Calà ha rilevato che “oggi di fatto gli anziani hanno difficoltà a curarsi e questo sia perché la sanità non è più gratuita ma anche per problemi irrisolti, tra cui quello delle liste d’attesa, che producono una emigrazione sanitaria che per quanto riguarda la Sicilia vale 190 milioni in un solo anno (dato 2015). Ci sono aree interne della Sicilia-
ha sostenuto ancora- nelle quali non c’è medicina territoriale e gli ospedali sono troppo lontani considerando l’inadeguatezza del sistema del trasporti”.

Il segretario dello Spi ha anche auspicato la ripresa del confronto con i comuni sul tema della lotta all’evasione contributiva “che sottrae risorse ai servizi e al welfare locale e produce ingiustificati aumenti delle tariffe”. Dalla ricerca dell’Ires si rileva che i comuni siciliani spendono per i servizi sociali in genere il 50% in meno del parametro delle grandi regioni. Inoltre , a fine 2017 solo il 12,4% della spesa di tutti i comuni è stata destinata agli interventi per gli anziani, il valore più basso dopo le Marche.

“Considerando anche le proiezioni sull’andamento demografico- ha detto Calà- si rende necessario un cambio di rotta e di passo per aggredire i nodi strutturali e per questo lo Spi Sicilia è pronto a una mobilitazione unitaria, affinchè un’azione del governo regionale stagnante si sblocchi.”

Calà ha annunciato dunque la ripresa della vertenza salute andando dal tema della medicina territoriale a quello
dell’abbattimento di ticket e super ticket sulle prestazioni sanitarie, dal tema della diminuzione dei tempi sulle liste d’attesa a quello dell’esigibilità dei Lea (livelli essenziali di assistenza) e della creazione di un osservatorio sui dati epidemiologici che riguardano cronicità, anziani e disabilità. Lo Spi- ha aggiunto- deve rilancerà pure la vertenza sulla non autosufficienza e sulla povertà”.

“Il tema della disabilità – ha affermato- è più questione di civiltà che di welfare. Il governo ha monetizzato la disabilità gravissima abbassando peraltro il contributo da 1.500 a 1.200 euro. Ma la cosa più inaccettabile è che stanno chiedendo ai disabili gravissimi over 66 di restituire una parte delle somme che avevano ricevuto”.

“Bisogna rilanciare il patto tra generazioni- ha rilevato il segretario dello Spi- tra giovani e anziani, quegli anziani che oggi svolgono con le loro pensioni benchè basse, un ruolo di ammortizzatore sociale per le famiglie e che pagano il prezzo di servizi sociali e sanitari inadeguati con il disagio che ne consegue . E questo può avvenire agendo sulla leva
dello sviluppo economico, garantendo tutele e protezioni sociali adeguati affinchè l’anziano affrancato dal bisogno possa avere l’opportunità di continuare a partecipare alla vita sociale, economica, culturale del Paese e della Sicilia”.

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