“La commissione si è riunita d’urgenza sabato e dobbiamo capire se per ordine del ministro, cose che chiederemo di accertare, e avrebbe fatto un errore materiale epurando dal provvedimento che aveva emerso venerdì il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.
Rimane un problema devastante perché tutta la motivazione del provvedimento dice che la Shabbi aveva diritto a restare in Italia perchè in Libia c’è la guerra civile. Alla luce del provvedimento di revoca la mai assistita è stata portata prima ad eseguire delle visite mediche in ospedale a Palermo.
Poi solo verso le 20 è stata portata con un furgone in un lungo viaggio di ritorno a Roma, al Cie, centro di identificazione ed espulsione”.
Lo dice l’avvocato Michele Andreano che difende Khadiga Shabbi, la ricercatrice libica dell’Università di Palermo, a cui venerdì la commissione del ministero dell’Interno aveva concesso il permesso di soggiorno umanitario e poi era stato revocato dopo le critiche del ministro degli Interni Marco Minniti.
“Verificheremo se si sia trattato di un abuso e siamo pronti a denunciare tutta la vicenda alla procura di Roma. La mia assistita è distrutta da quanto successo . Mi ha detto che una volta arrivata al Cie si sarebbe tolta la vita. Ho parlato con il caposcorta è ho chiesto la massima vigilanza per evitare che la donna possa togliersi la vita – aggiunge Andreano – Le condizioni all’interno del Cie sono terribili. Più volte la ricercatrice ha chiesto di essere portata in carcere a Rebibbia anziché restare nel centro.
L’Italia in queste vicende ha scelto di seguire il diritto e non la linea americana di Guantanamo. Ed è quello che farò già da domani verificando tutto quello che è successo in questo fine settimana quando la commissione aveva riaperto la speranza alla mia assistita consentendole il ritorno a Palermo”.
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