Le informative antimafia sono state al centro di un incontro che si è svolto al palazzo di giustizia di Palermo . La giornata di studi organizzata dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo con l’associazione avvocati amministrativisti della Sicilia, al consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Palermo e all’istituto nazionale amministratori giudiziari (Inag).

Hanno preso parte il presidente della corte d’appello Matteo Frasca, la procuratrice generale Lia Sava, il presidente del Cga Ermanno De Francisco, il presidente del Tar Sicilia Salvatore Veneziano, l’avvocato distrettuale Giuseppina Tutino Delisi, il presidente del consiglio ordine avvocati di Palermo Dario Greco, il presidente dell’ordine dei commercialisti Nicolò La Barbera  e il presidente Inag Giuseppe Sanfilippo. Ha introdotto i lavori il professore Salvatore Raimondi e ha moderato Giovanni Immordino, presidente degli avvocati amministrativisti della Sicilia. Nel corso delle relazioni è emersa, sulla scia delle ultime innovazioni legislative, la nuova centralità assunta dalla necessità di assicurare la sopravvivenza dell’impresa quale entità in tutto distinta dalla figura dell’imprenditore, essendo la vitalità del tessuto economico e sociale imprescindibile per un effettivo contrasto al fenomeno mafioso.

La vera e propria “morte civile” dell’impresa, determinata dalla incapacità legale sancita dalle disposizioni in materia di informativa e dalla inevitabile espulsione della impresa controindicata non solo dai rapporti economico commerciali con la pubblica amministrazione ma anche da quelli di natura civilistica, sul piano giudiziario impone una peculiare attenzione per evitare che il diverso criterio di giudizio, rimesso alla prefettura in primis e alle giurisdizioni che si confrontano sulle interdittive, oscuri e confonda il prioritario accertamento del fatto costituito appunto secondo il paradigma normativo dal tentativo di infiltrazione e condizionamento mafioso dell’impresa.

Se infatti la norma lascia ampio margine discrezionale al prefetto in ordine alla valutazione del quadro indiziario di riferimento per la individuazione della prognosticata permeabilità dell’impresa al condizionamento mafioso, occorre valorizzare la tassatività delle norme procedimentali da ultimo volte ad assicurare l’indefettibile contraddittorio con l’operatore economico attinto dalla informativa, ed altresì valorizzare le misure di controllo giudiziario tese ad evitare, in presenza della occasionalità del fenomeno accertato,  la paralisi e la marginalizzazione dell’impresa ed in definitiva a scongiurarne la scomparsa.

Tuttavia il carattere preventivo della informativa tesa a evitare ex ante il tentativo di ingresso delle mafie sul mercato, strumento insopprimibile della lotta alla mafia, non risulta ancora dotato né sul piano normativo né sul piano applicativo di sicuri ancoraggi che riequilibrino una anticipazione troppo spinta rispetto al compimento di qualsivoglia azione illecita e ne evitino il paradossale esito di privare il soggetto colpito di qualsivoglia mezzo di sussistenza lecito sulla scorta di una non sempre condivisibile valutazione del “più probabile che non”, specie nelle ipotesi in cui il giudice ordinario “della prevenzione” ne abbia escluso la sussistenza.

In questo senso, di particolare interesse, la relazione dell’avvocato Nino Caleca, Consigliere del Cga (“Il Prefetto, il giudice amministrativo e il giudice penale, anatomia di una nuova partizione del potere pubblico”)  seguita dalla stimolante riflessione dell’Avvocato dello Stato di Palermo Pignatone (“Il D.L. 152/2021: dalla logica del bianco o nero a quella dei grigi. Le garanzie partecipative nel procedimento diretto al rilascio dell’informazione antimafia.”)

Lo scollamento tra alcuni momenti processuali e procedimentali e la tempistica non sempre adeguata alle esigenze di una complessa realtà economica, finiscono col rendere difficoltoso il bilanciamento degli interessi in gioco specie sotto il profilo della necessità di assicurare ragionevolezza, proporzionalità e determinatezza all’istituto nonché la indispensabile attualizzazione dell’eventuale pericolo, come evidenziato dal significativo apporto dell’avvocato Carlo Comandè (“Informative antimafia: il delicato equilibrio tra anticipazione della soglia di prevenzione ed attualità degli indici sintomatici del condizionamento mafioso”).

Ulteriori spunti di peculiare interesse, poi, sono emersi dalla relazione dell’avvocato dello Stato di Palermo Pierfrancesco La Spina in relazione alle peculiari declinazioni di strumenti di contrasto al fenomeno mafioso quali “I protocolli di legalità” nonché dalle criticità segnalate dall’Avvocato della città metropolitana avvocato Maria Stella Porretto per le ricadute delle informative sulla attività concreta delle amministrazioni periferiche.

Da ultimo il significativo apporto del Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo Raffaele Malizia (“L’applicazione dell’art. 34 bis del codice antimafia nel Tribunale di Palermo”) e la fondamentale testimonianza di Fabrizio Abbate Consigliere dell’Ordine dei Dottori Commercialisti sulla gestione delle imprese interdette e del difficile rapporto con l’Agenzia dei beni confiscati.

In definitiva, per quanto l’indubbio lavorio non solo giurisprudenziale ma di tutte le componenti coinvolte abbia senz’altro consentito una miglior messa a fuoco dell’istituto, l’anticipazione così marcata della soglia di prevenzione che caratterizza l’informativa antimafia quale provvedimento amministrativo di natura cautelare e preventiva deve ancora trovare un migliori equilibrio nel solco tracciato non solo dalla CEDU per tutte le misure di prevenzione comunque intese per la loro portata afflittiva ma anche in forza dei preclari principi costituzionali che impongono una visione dinamica e risocializzante di ogni penalizzazione comunque intesa.