Gli agenti della squadra mobile di Palermo hanno arrestato altri due complici della rapina tentata lo scorso 30 novembre in via Altofonte a Palermo ai danni di un noto imprenditore nel settore della logistica. I rapinatori avevano pianificato il colpo e oltre ai soldi volevano i gioielli ma soprattutto le armi che custodiva in cassaforte.

Dopo averlo sequestrato due del commando sono stati arrestati durante la rapina. A distanza di sette mesi, gli investigatori hanno individuato gli altri due presunti complici.

La polizia ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di gip nei confronti di uomo di 49 anni (A. S.) e un ragazzo di 20 (A. S.) accusati a vario titolo di rapina pluriaggravata, sequestro di persona e ricettazione.

Secondo quanto ricostruito dagli agenti della squadra mobile la banda aveva teso un agguato all’imprenditore che stava tornando a casa. Dopo averlo bloccato in auto davanti al cancello, i quattro lo avrebbero minacciato e costretto a entrare nella sua villa perché consegnasse loro soldi, preziosi nonché pistole e fucili da lui legalmente detenuti e custoditi in una cassaforte. Poi la fuga. La vittima, senza perdersi istanti preziosi, avrebbe subito chiamato il 112 raccontando l’accaduto. I primi ad arrivare sono stati gli agenti delle volanti dell’Ufficio prevenzione generale che hanno bloccato due dei quattro assalitori recuperando sia i gioielli che le armi.

Da quel giorno il caso è passato nelle magni degli agenti della sezione Antirapina che sono riusciti a individuare gli altri due presunti complici grazie alle intercettazioni, telefoniche e ambientali, alle perquisizioni e all’analisi dei tabulati nonché delle immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza che hanno fornito riscontri al racconto dell’imprenditore. L’attività investigativa, spiegano dalla questura, ha permesso di raccogliere “gravi indizi di colpevolezza a carico del ventenne” nelle “fasi preparatorie, organizzative ed esecutive, insieme gli altri autori della rapina, nel sequestro della vittima, la cui abitazione e i cui spostamenti erano stati già monitorati dagli indagati”.