L’8 agosto del 1959 moriva, a Roma, Don Luigi Sturzo, religioso, sociologo, giurista, difensore dei diritti del Mezzogiorno, padre dell’autonomia siciliana, politico tra i più importanti del Novecento europeo. Dal 1962 le sue spoglie riposano nel piccolo mausoleo di Caltagirone, nella terra che amò e difese, dove oggi sarà ricordato con una cerimonia religiosa.

Un liberale poco incline all’indulgenza verso gli esponenti della cultura cattolica, qual era Indro Montanelli, così ne ricorda la figura qualche giorno dopo la scomparsa: «in quel Sahara d’incompetenza ch’è il nostro Parlamento, i documentatissimi interventi di quel vecchiaccio grifagno e irriducibile cadevano in un impaurito silenzio. E infatti con il silenzio egli è stato combattuto e isolato, come per una tacita congiura collettiva, di cui siamo stati tutti più o meno complici. Nessuna delle implacabili denunzie di don Sturzo è stata riecheggiata come doveva» (L’Europeo, 23 agosto 1959).

Sturzo era nato a Caltagirone il 26 novembre 1871, consacrato sacerdote nel 1894, dopo quattro anni si laurea in teologia alla “Gregoriana” di Roma. Subito dopo si impegna per un ventennio nell’amministrazione comunale di Caltagirone ed in attività sociali per il riscatto dei più deboli, nel 1919 fonda il Partito Popolare con l’appello “A tutti gli uomini liberi e forti”, spendendosi in una determinata azione politica a livello nazionale sino al duro confronto con il fascismo.

A Napoli, in uno dei suoi ultimi discorsi da segretario del Partito popolare, il 18 gennaio 1923, offre una nuova prospettiva alla questione meridionale e la proietta in una più ampia dimensione mediterranea – come ancora oggi sarebbe necessario – affermando che «se la politica che la nazione italiana, non solo i governi ma la nazione italiana, saprà fare, sarà una politica forte e razionale, orientata al bacino mediterraneo, cioè atta a creare al Mezzogiorno un hinterland che va dall’Africa del nord all’Albania, dalla Spagna all’Asia minore; se questo significherà apertura di traffici, circolazione di scambi, impiego di mano d’opera….tale fatto darà la spinta a creare nel Mezzogiorno un’agricoltura razionale e maggiore sviluppo di commerci, pari alla propria importanza produttiva.

Nel 1924 il contrasto con la dittatura e le opportunismo di certa politica vaticana lo conducono, nel silenzio, ad un esilio di ventidue anni tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti.

Alla fine del secondo conflitto mondiale il ritorno in Italia, il determinate impegno per la nascita dell’autonomia siciliana e l’approvazione dello Statuto e per la ricostruzione del Paese, nel 1949 la nomina all’Alta Corte per la Regione siciliana – organo supremo di tutela dell’autonomia regionale, che dopo qualche anno verrà disattivato dalla neoistituita Corte costituzionale.

Il 17 settembre 1952 viene nominato Senatore a vita (anche a seguito di un parere del conterraneo ed antico avversario liberale, ma sodale nella lotta alla dittatura e nel sostegno all’autonomia siciliana, V. E. Orlando) attività che, insieme all’apostolato ed agli studi, condurrà con impegno e passione sino all’epilogo, non risparmiando dure critiche alle degenerazioni della giovane democrazia, la lotta contro «le tre male bestie» – le stesse che ci affliggono ancora – la partitocrazia, il centralismo statale e lo sperpero del denaro pubblico.

Alla Sicilia dedica il suo ultimo sforzo morale rivolgendo, qualche mese prima di morire, un appello ai suoi corregionali senza sconti, nel quale, pur additando i rischi della degenerazione burocratica e clientelare, intende esprimere la “rinnovata testimonianza di solidarietà e di affetto a quell’Isola che ci rende, o dovrebbe renderci, uniti, non nell’isolamento geografico, né in quello politico e culturale, ma nelle speranze di bene, nelle affinità di lavoro, nel progresso morale e materiale, nel desiderio, anche se ambizioso, di portare la Sicilia al più alto livello fra le regioni italiane e contribuire ad affermarla, quale dovrebbe essere: Perla del Mediterraneo”.

Un uomo di fede e di impegno civile, un siciliano autentico ed appassionato, che lottó tutta la vita per la libertà, per quella libertà che, occorre ricordarlo sopratutto alle nuove generazioni, é un risultato acquisito – ed oggi queste parole risuonano più che mai attuali – ma che, come egli affermava, «è come la verità: si conquista; e dopo che si è conquistata si riconquista; e quando mutano gli eventi ed evolvono gli istituti, per adattarli, si riconquista».