Al termine di una indagine durata oltre un anno, coordinata dalla Procura della Repubblica di Termini Imerese, i finanzieri della Compagnia di Bagheria hanno scoperto che una badante, suo figlio (entrambi di Misilmeri) e un avvocato di Palermo, si sono appropriati del cospicuo patrimonio di una persona assistita dalla collaboratrice domestica, approfittando dello stato di disabilità mentale di quest’ultima.
Per questo motivo, le Fiamme Gialle bagheresi hanno notificato agli interessati il provvedimento con cui il GIP del Tribunale di Termini Imerese ha disposto il divieto di dimora a Misilmeri e di avvicinarsi alla persona offesa nei confronti della badante (S.G.) e del figlio (T.F.), nonché l’obbligo per l’avvocato (D.M.G.) di presentarsi periodicamente alla polizia giudiziaria. Inoltre, è stato eseguito il sequestro preventivo di beni degli indagati per un importo pari a 2 milioni e 300.000 euro che costituisce il profitto presunto dei reati di ricettazione e circonvenzione di incapace.
La collaboratrice domestica ha svolto le funzioni di badante nei confronti del padre del disabile. Alla morte dell’anziano, la signora ha ricevuto in eredità la nuda proprietà di 31 immobili (di cui 11 fabbricati) e 450.000 euro.
La rimanente parte di eredità era stata invece assegnata al figlio, non in grado però di effettuare nemmeno le più elementari operazioni di calcolo, né di percepire il reale valore dei beni, circostanza, questa, che è stata dimostrata dalle consulenze tecniche disposte dalla Procura della Repubblica.
Approfittando di questa condizione e facendo ritenere al malcapitato di essere la sua compagna di vita, la badante, con l’aiuto del proprio figlio e di un avvocato, nonché con la compiacenza di un impiegato di banca, sarebbe riuscita a farsi donare la somma 2 milioni e 300.000 euro, somma derivante dalla chiusura di alcune polizze assicurative a suo tempo stipulate dall’anziano padre a favore esclusivo del figlio disabile.
Il consistente flusso di denaro ha poi raggiunto una neo – costituita società ungherese, avente come unico socio proprio la collaboratrice domestica. Non appena i tre hanno percepito che potesse essere in corso una indagine nei loro confronti, hanno tentato di correre ai ripari ricorrendo ad insegnanti che potessero “istruire” il disabile e colmare, almeno in parte, il suo deficit cognitivo nell’intento di far apparire le sue donazioni come pienamente coscienti e volontarie.
Ma gli accertamenti bancari svolti, le intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite e gli interrogatori di persone in grado di riferire sui vari fatti durante un intero anno hanno permesso ai finanzieri di ricostruire con esattezza il quadro probatorio a carico dei tre indagati.
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