E’ stato tumulato nella cappella gentilizia della famiglia nel cimitero comunale di Cinisi (Pa) il boss Procopio Di Maggio, morto il 2 giugno a 100 anni.

Cinque auto, con i parenti più stretti, hanno seguito il feretro che dall’abitazione in piazza Martin Teresa a Cinisi (Pa) hanno portato il corpo direttamente nella cappella.

Il questore di Palermo Nicolò Longo aveva vietato i funerali pubblici e circa una ventina di persone hanno dato l’ultimo saluto al patriarca di Cinisi condannato al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino.

Giorno 2 alle 18.30 è morto nella sua casa in piazza Martin Teresa a Cinisi (Pa) all’età di 100 anni Procopio Di Maggio, l’unico padrino della Cupola di Totò Riina rimasto in libertà.

Il boss è scampato a due attentati, nel 1983 e nel 1986. Il patriarca del clan era ritenuto un fedelissimo di Riina e Provenzano.

Don Procopio è stato condannato al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino, ma è uscito indenne dall’accusa di aver ordinato una ventina di omicidi.

Non ha avuto la stessa fortuna giudiziaria il figlio Gaspare, oggi al carcere duro. L’altro figlio Giuseppe è stato inghiottito dalla lupara bianca.

Il questore ha emesso un’ordinanza è ha vietato i funerali pubblici. La salma domani potrà essere trasportata da casa fino al cimitero. Dove qui troverà sepoltura.

A gennaio scorso Procopio aveva festeggiato 100 anni.

Di Maggio subì due tentativi di omicidio. Tentarono di ucciderlo una prima volta il 18 settembre 1981. In questo tentativo rimase gravemente ferito assieme al figlio Giuseppe e a Nicolò Impastato. In tale circostanza vennero esplosi all’indirizzo dei due da ignoti, numerosi colpi d’arma da fuoco.

I carabinieri che effettuarono le indagini ritennero che Di Maggio avesse risposto al fuoco dopo avere esaminato dei bossoli e altri reperti rinvenuti sul posto e ascoltato le dichiarazioni di un testimone oculare che disse di avere visto Di Maggio, già ferito, impugnare una pistola di tipo automatico.

Un secondo tentativo di omicidio si verificò sempre a Cinisi in pieno centro l’8 ottobre 1983. Anche in questo caso, ignoti, esplosero all’indirizzo del Di Maggio numerosi colpi di arma da fuoco mentre conversava con alcuni compaesani, uno dei quali rimase ucciso.

Ancora una volta scampò alla morte. Da quel momento si rese latitante, fino al 12 aprile 1986. Il fatto che Di Maggio sia rimasto vittima di due tentativi di omicidio con modalità così spettacolari, tipiche dei delitti di mafia è indicativo della sua appartenenza a “Cosa Nostra“ e ciò a prescindere dalla sua posizione nel conflitto allora in corso (c’era una feroce azione di sterminio attuata dai corleonesi e dai loro alleati).

Il 19 agosto 1981, dopo l’espulsione di Gaetano Badalamenti da Cosa Nostra venne ucciso Antonino Badalamenti che a seguito della espulsione di Gaetano Badalamenti, era stato nominato dalla commissione reggente della famiglia di Cinisi (Antonino Badalamenti fu eliminato perché ritenuto inaffidabile in quanto cugino del precedente capo).

Procopio Di Maggio subentrò a Badalamenti quale capo della “ famiglia “ di Cinisi. Accusato di traffico di stupefacenti , pur avendo ritenuta “ ampiamente plausibile una partecipazione del capo della “famiglia mafiosa “ di Cinisi al traffico , il giudice istruttore lo prosciolse dalla imputazione per insufficienza di prove.

I numerosi “mi piace“ postati su Facebook e i festeggiamenti in occasione dei cento anni non sono certo una bella cosa. Potrebbe indurre i giovani a pensare che il crimine, la violenza e l’illegalità siano la strada del rispetto, della ricchezza, del successo.

L’esaltazione dei comportamenti violenti, la predominanza del più forte ,in special modo negli ambienti in cui vige la cultura mafiosa, comporta il rischio che i giovani finiscano con imitare i modelli sbagliati. Non c’è altro mezzo, per cambiare le cose, che diffondere la cultura della legalità. Soltanto quando questo obiettivo sarà raggiunto potremo dire di vivere in un paese normale.