Ah, il cane: il miglior amico dell’uomo. Un compagno fedele, amorevole, sempre pronto a riempirti la giornata di gioia con uno scodinzolio o un muso appoggiato sulla gamba. Ma dietro ogni cane c’è un padrone, e dietro (letteralmente) ogni padrone c’è un piccolo (a volte non tanto piccolo) souvenir lasciato sul marciapiede.

Parliamo di loro, dei custodi della noncuranza, quegli individui che portano a spasso il proprio cane con aria fiera, lo guardano accovacciarsi con un’espressione sognante e poi, con estrema naturalezza, riprendono a camminare come se nulla fosse successo. Magari fischiettano pure, come per disperdere eventuali sospetti. Sono i campioni dell’Io Non Ho Visto Niente, i maestri del Non È Compito Mio, i virtuosi del Che Sarà Mai, La Pioggia Pulisce Tutto.

Queste persone, probabilmente, hanno una filosofia di vita tutta loro. Chissà, magari credono che la natura debba seguire il suo corso e che la città, con i suoi bei marciapiedi, aiuole e piste ciclabili, sia solo una giungla in cui vige la legge della decomposizione spontanea. Oppure, più semplicemente, sono troppo impegnati a scrollare il telefono per accorgersi di quel dettaglio fastidioso chiamato decenza.

Eppure, il loro talento nel non vedere l’ovvio è straordinario. Perché se glielo fai notare – con garbo, con ironia o con il più sincero disgusto – ecco che sfoderano l’arte suprema della giustificazione creativa:

  • “Oh, non ho il sacchetto!” (traduzione: Non ne ho mai comprati in vita mia, figurati se ora inizio).
  • “Ma il cane è piccolo!” (traduzione: Le dimensioni contano solo quando fa comodo a me).
  • “Non c’era nessuno, non pensavo desse fastidio!” (traduzione: Sono il re del mondo e decido io cosa sia fastidioso o meno).

E così, ogni giorno, i nostri marciapiedi diventano una sorta di percorso a ostacoli, dove il pedone comune – che magari vorrebbe solo tornare a casa senza incidenti di percorso – si ritrova a zigzagare tra le opere lasciate dai quadrupedi e dagli illuminati che li accompagnano. Però, se la pesta può consolarsi di essere fortunato.

Però attenzione, perché la giustizia esiste. Non quella divina, che richiederebbe troppo tempo, ma quella del karma immediato. E succede sempre così: prima o poi, il nostro eroe distratto mette il piede dove non doveva. E lì, tra la disperazione e il senso di colpa tardivo, forse, per un attimo, comprende.

O forse no. Magari si limita a dare la colpa a qualcun altro. Perché diciamocelo, chi se ne frega di un minimo di responsabilità?