Ansia, solitudine e disturbi alimentari, problemi molto comuni, soprattutto tra i giovani, che sono stati al centro di un incontro che alcuni ragazzi della IV G del liceo linguistico Ninni Cassarà, di Palermo, hanno avuto con gli studenti di altre scuole e i rappresentanti di Telefono Azzurro nell’Oratorio di San Martino ai Crociferi. Problemi che spesso non sono riconosciuti o che tante volte si fa di tutto per nascondere. Importante, allora, come emerso durante il confronto, è capire che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di forza. Il benessere mentale è tanto importante quanto la salute fisica. Telefono Azzurro è un’organizzazione italiana nata per proteggere i diritti dei bambini e degli adolescenti. Il suo scopo principale è offrire ascolto, aiuto e protezione ai minori che si trovano in situazioni di disagio, violenza, abuso o difficoltà emotive. Nata nel 1987 per iniziativa di Ernesto Caffo, psichiatra e docente universitario, il suo obiettivo è dare ai più piccoli una voce e uno spazio sicuro in cui potersi esprimere. Il servizio più conosciuto è la linea gratuita 1.96.96, attiva h24, alla quale bambini e adolescenti possono telefonare per parlare con operatori esperti e ricevere supporto. Esiste anche un servizio online di chat e una linea dedicata agli adulti e ai genitori. Telefono Azzurro collabora anche con scuole, istituzioni e forze dell’ordine per sensibilizzare la società sull’importanza della tutela dei minori e per prevenire fenomeni come il bullismo, il cyberbullismo, l’abuso sessuale e la violenza domestica. In oltre trent’anni di attività, l’associazione ha aiutato migliaia di bambini, diventando un punto di riferimento fondamentale per la tutela dell’infanzia in Italia. Durante l’incontro con il Telefono Azzurro si è parlato di benessere e salute mentale, i social media hanno un impatto enorme. Scorrono continuamente immagini di vite “perfette” che possono alimentare sentimenti di insicurezza e inadeguatezza. È essenziale imparare a gestire questa pressione, trattando la salute mentale con la stessa attenzione che si da’ a quella fisica. Parlarne e chiedere aiuto è il primo passo per stare meglio. La salute mentale è una parte fondamentale della vita di tutti, in particolare nell’età adolescenziale. Ad oggi i social media sono lo strumento più utilizzato dai giovani per comunicare, per condividere le proprie esperienze ed emozioni o anche per avere un confronto nel caso in cui si stessero affrontando delle problematiche nella propria vita. Spesso quando ci si sente soli in un momento di difficoltà o di sconforto, si tende ad aprirsi anche con degli sconosciuti pur di trovare qualcuno su cui appoggiarsi e disposto ad ascoltare. Questo accade perché c’è un problema alla base della comunicazione: spesso i giovani non si sentono ascoltati neppure dai loro genitori, in famiglia o nel contesto sociale si ha una mancanza di dialogo. Una soluzione a questo problema, come è stato proposto dalla IV G del Cassarà durante l’incontro, sarebbe l’introduzione di uno psicologo di base in ogni scuola che abbia un contatto diretto con gli alunni, così che possano aprirsi con una figura professionale. Molti professionisti alla riunione hanno illustrato come vorrebbero risolvere il problema e hanno raccontato le esperienze che hanno vissuto in prima persona essendo avvocati o facendo parte della polizia postale. Uno dei maggiori disagi che creano i social è innegabilmente il cyberbullismo, che in casi più gravi può portare a dei sintomi di depressione o di bassa autostima dell’individuo o anche a un isolamento sociale. È qualcosa che porterà traumi, anche se non visibili dall’esterno, per il resto della propria vita e che trasmetterà difficoltà nel relazionarsi in futuro. Parlare di inclusione e diversità oggi è importantissimo, soprattutto per i giovani, che vivono ogni giorno in ambienti molto diversi tra loro: scuola, social, gruppi di amici… ovunque. La diversità è semplicemente il fatto che le persone non sono tutte uguali. Ognuno ha la propria storia, il proprio modo di vivere, amare, pensare, credere, muoversi, esprimersi. E questo non è un problema, è una realtà. Ma il problema nasce quando queste differenze diventano motivo di esclusione o giudizio. E qui entra in gioco l’inclusione: fare in modo che ognuno possa partecipare davvero, senza dovere cambiare sé stesso per essere accettato. È creare ambienti dove nessuno si senta “di troppo”, dove le diversità non vengano solo tollerate, ma rispettate e valorizzate. Per fare davvero inclusione serve ascolto, educazione e azioni concrete. Serve rivedere certe abitudini, mettere in discussione certi pensieri che magari sembrano normali, ma che in realtà escludono qualcuno. Non basta fare finta di non vedere le differenze: bisogna riconoscerle e farle diventare un punto di forza. Alla fine, una società inclusiva è una società più giusta e anche più intelligente, perché quando tutte le persone possono esprimersi liberamente, nascono idee migliori, relazioni più vere e un mondo più umano. In un mondo sempre più interconnesso ma al contempo frammentato, la paura legata al contesto sociale è diventata una costante silenziosa nella vita quotidiana di milioni di persone. Guerre che sembrano non avere fine, crisi umanitarie che si moltiplicano, diritti umani calpestati, giustizia sociale disattesa e una crescente insicurezza diffusa: questi elementi alimentano un clima di tensione e incertezza che penetra nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. I conflitti armati, come quelli in Ucraina, Gaza o Sudan, riportano la guerra nel cuore dell’informazione quotidiana, facendola apparire sempre più vicina, quasi tangibile. Le immagini di distruzione, le testimonianze di civili in fuga, la paura del “contagio” geopolitico hanno un impatto emotivo potente. A ciò si aggiungono le migrazioni forzate, spesso gestite con freddezza e cinismo dalle istituzioni, e la crisi ambientale che minaccia la sopravvivenza stessa del pianeta. Tutto questo genera un senso di vulnerabilità diffusa, che attraversa trasversalmente tutte le fasce della popolazione. La sfiducia nelle istituzioni e nei sistemi giudiziari contribuisce ad acuire questa sensazione di instabilità. Quando la giustizia sociale vacilla, quando il divario tra chi ha troppo e chi non ha nulla si amplia, le persone sentono di vivere in un mondo dove le regole non sono uguali per tutti. La mancanza di tutele, il lavoro precario, l’accesso diseguale ai servizi fondamentali diventano ferite aperte nel tessuto sociale. Il primo passo per contrastare la paura sociale è riconoscerla. Parlarne, affrontarla, ascoltare chi la vive sulla propria pelle. Solo così sarà possibile costruire una società più equa, più sicura e, soprattutto, più umana.

Federico Asaro, Altea Milazzo, Alessia Musso, Chiara Rinaldi, Andrea Tarantin IV G liceo linguistico Ninni Cassarà

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