Oggi, 14 luglio, la Prima sezione della Corte d’Appello di Roma ha emesso una sentenza che segna un momento storico per la lotta contro le intimidazioni mafiose ai danni dei giornalisti.

Le condanne per le minacce aggravate dal metodo mafioso rivolte nel 2008 allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione durante il processo d’appello Spartacus a Napoli sono state confermate. Il boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, è stato condannato a un anno e sei mesi di carcere, mentre il suo avvocato, Michele Santonastaso, a un anno e due mesi. La decisione ribadisce il verdetto di primo grado del 24 maggio 2021, accogliendo l’applauso dell’aula e suscitando la commozione di Saviano, che ha abbracciato in lacrime il suo legale, Antonio Nobile.

Il processo Spartacus e il “proclama” intimidatorio

I fatti risalgono al 13 marzo 2008, durante il processo d’appello Spartacus, uno dei procedimenti penali più significativi contro il clan dei Casalesi, che tra il 1998 e il 2010 ha portato alla condanna di oltre 115 membri della camorra. In quell’occasione, l’avvocato Michele Santonastaso, su mandato del boss Francesco Bidognetti, lesse in aula un documento noto come “proclama”. Il testo, ufficialmente presentato come un’istanza di ricusazione dei giudici, conteneva riferimenti espliciti e minacciosi a Saviano, autore del best-seller Gomorra, e a Capacchione, allora cronista de Il Mattino. I due furono accusati di aver “condizionato l’opinione pubblica” e i giudici con i loro scritti, ritenuti responsabili delle condanne inflitte al clan.

Secondo i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma, le parole pronunciate da Santonastaso non erano un esercizio del diritto di difesa, ma una chiara strategia intimidatoria orchestrata da Bidognetti per rafforzare il controllo del clan sul territorio e zittire le voci scomode dell’informazione. “La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca dei Casalesi di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l’intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia”, si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado, confermate in appello.

Le reazioni: il peso di 17 anni di lotta

La sentenza ha avuto un impatto emotivo profondo. Roberto Saviano, visibilmente commosso, ha commentato: “Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno, ma ho la dimostrazione che la camorra in un’aula di tribunale, pubblicamente, ha dato la sua interpretazione: che è l’informazione a mettergli paura”. Lo scrittore, che vive sotto scorta dal 2006 a causa delle minacce ricevute per Gomorra, ha sottolineato l’unicità dell’episodio: “Non era mai successo in un’aula di tribunale, in nessuna parte del mondo, che dei boss con i loro avvocati firmassero un appello dove misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica, ma il giornalismo, insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne”.

Rosaria Capacchione, che una settimana dopo il “proclama” fu posta sotto scorta, ha descritto il peso di questi anni: “Sono diciassette anni e mezzo di vita passati a pensare a quel documento letto in aula, al significato, alle ripercussioni. È un pezzo di vita importante che ha condizionato l’esistenza professionale”. La giornalista, memoria storica del clan dei Casalesi, ha definito il “proclama” parte di una strategia anomala che individuava in giornalisti, scrittori e magistrati i “responsabili” delle condanne nel processo Spartacus.

La difesa della libertà di stampa

Nel procedimento si sono costituite parte civile la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei Giornalisti della Campania. Alessandra Costante, segretaria generale della FNSI, ha dichiarato: “Minacciare chi fa informazione deve avere un costo, come chiarisce la sentenza di condanna in secondo grado per il cosiddetto ‘proclama’ Spartacus”. Costante ha inoltre auspicato l’introduzione di un’aggravante specifica per le minacce ai giornalisti, sulla scia di quanto già previsto per medici e infermieri, sottolineando che è in corso un’interlocuzione con il Ministero dell’Interno attraverso il tavolo di monitoraggio sui cronisti minacciati.

Un processo lungo e complesso

Il percorso giudiziario è stato lungo e travagliato. Nel 2016, la Corte d’Appello di Napoli aveva dichiarato nulla la sentenza di primo grado per incompetenza territoriale, trasferendo il procedimento a Roma. La sentenza di primo grado, emessa il 24 maggio 2021, ha riconosciuto la sussistenza delle minacce aggravate dal metodo mafioso, condannando Bidognetti e Santonastaso, mentre un terzo imputato, l’avvocato Carmine D’Aniello, era stato assolto. La conferma in appello del 14 luglio 2025 consolida questa decisione, ponendo fine a un iter processuale durato quasi 17 anni.

Un segnale per il futuro del giornalismo

La sentenza non restituisce a Saviano e Capacchione gli anni vissuti sotto scorta, ma rappresenta un punto di riferimento nella lotta contro le intimidazioni mafiose. Come ha sottolineato Saviano alla vigilia del verdetto, “qualunque sarà l’esito, niente potrà restituirmi ciò che questa vicenda mi ha tolto”. Tuttavia, il pronunciamento della Corte d’Appello di Roma riafferma l’importanza di tutelare chi, attraverso l’informazione, sfida il potere criminale, spesso a costo di enormi sacrifici personali.