Nel 42° anniversario della strage di via Pipitone Federico, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani commemora la figura del giudice Rocco Chinnici con un atto di riflessione profonda e civica. Non solo la memoria dell’uomo e del magistrato, ma l’eredità viva e operante di un pensiero che ha rivoluzionato la giustizia italiana, rendendola più consapevole, più collettiva, più culturale.
Rocco Chinnici non fu solo un magistrato assassinato dalla mafia, ma un riformatore della giustizia. Intuì, in tempi di violenza politica e criminale, che il vero bersaglio della mafia non era solo il singolo giudice, ma il metodo. Il suo fu un metodo nuovo, partecipativo, collaborativo: nacque così il pool antimafia, cuore pulsante dell’Ufficio Istruzione di Palermo, laboratorio di conoscenze, intelligenze e coraggio condiviso. A Chinnici dobbiamo l’intuizione che la lotta alla criminalità organizzata non può essere lasciata all’eroismo solitario ma necessita di una costruzione corale, strutturata e continua.
Come ha giustamente sottolineato il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo, commemorare Chinnici oggi non significa inchiodarlo a un’icona cristallizzata nel tempo, ma trarre insegnamento dalla sua visione lungimirante: la giustizia come organismo vivo, capace di rinnovarsi, organizzarsi, condividere conoscenze e superare la sterile autoreferenzialità.
Chinnici fu anche un innovatore culturale: introdusse il concetto che il magistrato dovesse essere anche un divulgatore, un punto di riferimento per la società civile. Fu lui tra i primi a parlare pubblicamente di mafia nelle scuole, a dialogare con i giovani, a denunciare il potere distruttivo della droga come arma di corruzione sociale e culturale, smascherando la mafia come fenomeno politico, economico e culturale, non solo giudiziario.
Le sue parole – “senza una nuova coscienza, noi da soli non ce la faremo mai” – risuonano oggi con forza in un Paese che rischia a tratti di dimenticare quanto sia costata la conquista della verità e della giustizia. L’eredità di Chinnici non può ridursi a una cerimonia rituale, ma deve diventare stimolo per costruire nelle scuole, nei tribunali, nei quartieri e nei media una nuova cultura democratica fondata sulla responsabilità, sulla partecipazione, sulla formazione critica delle coscienze.
In questa prospettiva, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani sottolinea con forza l’urgenza di potenziare strutturalmente l’Educazione alla legalità all’interno dei percorsi scolastici, rendendola parte integrante dei curricoli e promuovendo progetti continui e sistematici. Una scuola realmente democratica non può prescindere da un’educazione civica che renda gli studenti protagonisti attivi del cambiamento, consapevoli dei diritti e delle responsabilità che la convivenza civile comporta.
Nel suo lavoro, Chinnici contribuì a spostare il focus delle indagini mafiose verso la tracciabilità della ricchezza illecita, l’analisi dei flussi finanziari, le connessioni internazionali e le collusioni istituzionali. Consegne operative che non sono passate, ma che oggi ci interrogano con ancora maggiore urgenza, alla luce dei nuovi scenari della criminalità organizzata transnazionale e digitale.
Non va dimenticato, come osservato dallo stesso Melillo, che la strage che uccise Chinnici fallì nel suo intento: non cancellò il metodo, non spense quella visione. Il testimone fu raccolto da Antonino Caponnetto e poi da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tutti selezionati dallo stesso Chinnici, in un’opera di “talent scouting” ante litteram che dimostra quanto il futuro si costruisca anche riconoscendo il valore delle persone giuste nei momenti giusti.
Nella strage di via Pipitone Federico, persero la vita oltre a Rocco Chinnici anche gli agenti di scorta Rosario Di Salvo, Antonio Turrisi e Giovanni Arcidiacono. Ricordare i loro nomi significa onorare non solo il sacrificio del giudice, ma anche quello di chi, ogni giorno, mette a rischio la propria vita per la giustizia e la legalità.
Ma la sua eredità non è immune da rischi. Le derive di una magistratura ripiegata su logiche individualistiche o burocratiche, di una giustizia amministrata senza orizzonte comune, rappresentano una minaccia reale alla memoria di Chinnici. La sua lezione ci impone di rifiutare il culto dell’eroe isolato e di promuovere invece una magistratura di squadra, competente, indipendente ma anche umile, capace di ascolto e di apertura.
In questo senso, le scuole possono e devono essere il primo luogo in cui quella lezione trova terreno fertile. Considerando che durante l’estate le attività didattiche sono sospese, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani invita tutte le istituzioni scolastiche, in occasione del 29 luglio, a partecipare alla campagna “#MemoriAttiva2025” attraverso iniziative e progetti da realizzare in vista della ripresa delle lezioni. Si propone di promuovere metodologie didattiche innovative — come laboratori interattivi, apprendimento digitale e storytelling multimediale — per approfondire la figura di Rocco Chinnici e la storia del pool antimafia. Inoltre, si invita ogni scuola a preparare e lanciare sui propri canali social, anche prima dell’inizio dell’anno scolastico, un prodotto multimediale originale e creativo, accompagnato da un hashtag o slogan dedicato alla legalità, per diffondere e condividere il valore dell’impegno di Chinnici con la comunità digitale. Non per commemorare passivamente, ma per formare attivamente cittadini e cittadine capaci di riconoscere la giustizia come bene comune e la legalità come stile di vita, non solo come imposizione normativa.
Chinnici, disse Falcone, “temeva che i suoi assassini si potessero nascondere anche dentro il palazzo di giustizia”. Oggi, a distanza di oltre quarant’anni, il miglior omaggio che possiamo tributargli è restare vigili, consapevoli e uniti. Perché la memoria non è mai neutra: o diventa strumento di trasformazione, o viene sepolta sotto le cerimonie.
prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU

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