Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Noi occidentali abbiamo un vizio antico: ci piace frustarci. Da anni celebriamo una sorta di penitenza laica per ogni colpa passata – il colonialismo, le crociate, Colombo, e chi più ne ha più ne metta – come se l’intera storia del pianeta fosse un grande tribunale e noi l’unico imputato.
Ma nella foga del mea culpa collettivo, ci siamo dimenticati una domanda da scuola elementare: e gli altri, nello stesso periodo, cosa facevano? Perché le civiltà non occidentali – quelle che oggi un certo racconto dipinge come bagnate d’innocenza – non stavano certo a coltivar rose in giardino. Facevano esattamente ciò che hanno sempre fatto tutti i potenti della Terra: espandersi, dominare, imporsi.
La Russia, per esempio, dal Cinquecento a oggi non ha smesso un solo giorno di allungare i confini, spingendoli dove trovava popoli troppo piccoli o troppo sfortunati per difendersi: Siberia, Asia centrale, Caucaso, Europa orientale. Una marcia secolare, più coerente di qualunque ideologia professata.
Eppure la narrativa recente è stata abilmente manipolata. La propaganda autoritaria ha trovato nei suoi eco occidentali – gli ingenui redentori del mondo e gli estremisti di segno opposto – una sorprendente convergenza. Un matrimonio d’interesse, certo, ma fecondo: insieme hanno fabbricato una storia degna dei cartoni animati, dove i buoni sono Russia, Cina e una manciata di altri imperi con la vernice fresca, mentre i cattivi restano rigorosamente gli stessi: Europa e Stati Uniti, colpevoli per definizione.
È una fiaba per bambini, e come tutte le fiabe funziona solo se si spegne la luce della complessità. La storia vera, quella senza effetti speciali, è molto meno comoda: nessuno ha il monopolio del bene o del male, e nessuna civiltà ha fatto sconti quando si trattava di prendere spazio, potere, terre.
Ma ammetterlo rovinerebbe il copione. E a molti, ormai, interessa più il copione che la realtà.
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