L’azienda vitivinicola Rapitalà ha chiuso con il passato e ha cancellato le ombre di possibili infiltrazioni mafiose. Il sigillo è arrivato dalla prefettura di Palermo che ha ufficialmente certificato il venir meno del pericolo di agevolazione occasionale e l’assenza di ulteriori tentativi di infiltrazione mafiosa, ponendo fine al semestre di collaborazione preventiva avviato dopo l’inchiesta della direzione distrettuale antimafia. Il percorso di decontaminazione è stato gestito dall’azienda stessa senza la nomina di commissari esterni, affidando la guida al nuovo presidente Nino Caleca e a un organismo di vigilanza composto da Giovanni Canzio, Dino Petralia e Alessandra Santangelo.
Il nuovo corso ha visto l’applicazione di un codice etico estremamente rigido e l’allontanamento di tutti i dipendenti legati, direttamente o indirettamente, a contesti mafiosi. Le indagini dei carabinieri avevano precedentemente evidenziato gli interessi di cosa nostra camporealese nel settore vinicolo, segnalando all’interno della cantina figure vicine all’organizzazione criminale. Le criticità riguardavano in particolare l’assunzione di operai stagionali e alcuni movimenti anomali di denaro, fattori che avevano spinto le autorità a optare per la prevenzione collaborativa invece della più drastica interdittiva antimafia.
La Tenuta Rapitalà, fondata nel 1968 e situata tra i territori di Camporeale e Alcamo, rappresenta una delle realtà più importanti del Gruppo italiano vini. Dopo sei mesi di monitoraggio, il comitato interforze della prefettura ha preso atto della positiva evoluzione della struttura aziendale. Per suggellare questo ritorno alla piena legalità, il presidente Caleca ha annunciato che nel prossimo mese di maggio verrà piantata una talea dell’albero Falcone proprio nelle terre della tenuta, un gesto simbolico per marcare il nuovo capitolo della storica azienda.






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