• Scontro a Casa Minutella tra Gianfranco Micciché e Tuccio D’Urso.
  • Micciché ha criticato l’accusa di «trucchetti» all’ARS per non approvare un decreto in favore di D’Urso.
  • D’Urso ha parlato di «un problema di democrazia» all’interno del Parlamento siciliano.

A Casa Minutella c’è stato uno scontro ‘ad alta tensione’ tra il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Gianfranco Micciché, e Tuccio D’Urso, ex dirigente della Regione Siciliana.

Il motivo della contesa verbale? La grave accusa mossa da D’Urso all’ARS, parlando apertamente dei «ben noti trucchetti delle false votazioni» che non gli hanno permesso di mantenere il suo incarico.

Partiamo con Micciché: «Con D’Urso, durante tutto il tempo della mia carriera politica, ho sempre avuto rapporti cordiali e trasparenti. A un certo punto, però, non so perché nervoso o per altro, ha dichiarato a un giornale che l’ARS gli avrebbe negato di restare come dirigente tramite i ben noti trucchetti delle false votazioni. Innanzitutto, non capisco la motivazione dell’emendamento che è stato votato, ovvero un modo per permettere ai direttori di restare in servizio per più tempo rispetto al raggiungimento della pensione… se fosse stato approvato, avrebbe significato che chiunque, arrivato all’età pensionabile, avrebbe potuto chiedere di prolungare la sua presenza alla Regione per via di un lavoro ancora da svolgere… Comunque, io non ho votato ma avrei votato contro e non l’ho fatto perché quell’emendamento proveniva dal Governo».

Il presidente dell’ARS ha poi approfondito la sua visione sul tema della pensione: «Oggi la Regione Siciliana ha un’età media dei dipendenti di 59 anni. È l’unica struttura al mondo con un’età media così avanzata. Non si fanno assunzioni dal 1994. E oggi, dopo anni che battaglio per il ringiovanimento della Regione, avrei dovuto votare per un emendamento per permettere il prolungamento dell’incarico ai dirigenti pensionabili per altri tre anni?».

La replica di D’Urso: «L’emendamento prevedeva che chi si occupava di rendicontazione dei Fondi europei – un passaggio sempre delicatissimo – potesse restare fino alla data del 31 dicembre 2023, ovvero la data ultima entro la quale la Regione Siciliana può rendicontare tali fondi. L’emendamento – anzi, sono stati due, con il secondo presentato proprio da un esponente di Forza Italia – avea come ratio il contrasto del fenomeno ricorrente, che avviene ogni sette anni, di rimandare a Bruxelles una gran quantità di denaro non speso e, per spenderlo, ci vogliono dirigenti con gli attributi. In Regione, però, abbiamo funzionari e dirigenti che se la fanno sotto quando devono apporre una firma, c’è gente che non fa nulla per mandare avanti la baracca. Quindi, l’idea era prendere i ‘dirigenti volenterosi’, fra cui m’inserisco io dopo 33 anni di carriera, testimoniata dal mio curriculum vitae, per dare una mano concreta».

Micciché, però, ha ribattuto duramente contro queste parole di D’Urso: «Se avessi voluto che non passasse quell’emendamento, avrei potuto dire a Forza Italia di votare no ma non l’ho fatto. Si sta dicendo una cosa terribile e da una persona che è stato al suo posto per 33 anni: tutti i dirigenti non sono riusciti a spendere i Fondi europei perché non hanno gli attributi. E, quindi, chiediamo a questi, a cui improvvisamente gli attributi sono comparsi, di restare per altri anni?».

In poche parole, secondo D’Urso, una parte dell’ARS lo avrebbe ‘fatto fuori’ perché stava cercando una soluzione «affinché non si pagassero più denari ai proprietari di immobili regionali nonché a società con sede presso paradisi fiscali».

In che modo? Sempre l’ingegnere ha ricordato che «questo emendamento è stato proposto in aula il 7 luglio 2020, di pomeriggio, e poi il 6 agosto, ancora di pomeriggio. Il 7 luglio l’emendamento non è passato per due voti ma 6 deputati hanno denunciato al microfono, come trascritto sui verbali, che il loro voto non risultava. Da quella votazione, in pratica, mancava il 15% dei votanti. Ora, se non si riesce a organizzare il voto all’ARS, in presenza di 40 deputati, è chiaro che ci sia un problema gravissimo che riguarda la democrazia. Il 6 agosto, poi, si è accertto in maniera inoppugnabile che 2 voti sono stati resi nonostante l’assenza dei votanti: quello di Francesco Cappello del MoVimento 5 Stelle e di Giovanni Cafeo di Italia Viva».

Parole che hanno fatto infuriare Micciché, criticando con forza la tesi del «broglio colossale per far sì che l’emendamento venisse bocciato», dando anche del «matto» all’ex dirigente.

Prossima puntata della contesa molto probabilmente in tribunale perché Micciché è intenzionato a querelare D’Urso.

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