I carabinieri del nucleo investigativo di Monreale hanno eseguito dieci provvedimenti cautelari, 8 in carcere, uno ai domiciliari e una sospensione dall’ufficio di servizio a San Giuseppe Jato (Pa) e a San Cipirello (Pa), emessi dal gip del tribunale di Palermo, nei confronti di 10 persone accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico.

Secondo le indagini dei militari, sei degli arrestati nell’operazione Jato Bet farebbero parte della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato. Le indagini sono andate a avanti tra il febbraio del 2017 e il novembre del 2019 coordinate dal procuratore aggiunto della Dda Salvatore De Luca.

Colpiti i nuovi capi dell’organizzazione

Le attività di indagine dell’operazione Jato Bet, dei carabinieri del comando provinciale di Palermo, sono iniziate all’indomani degli arresti di Ignazio Bruno, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato e del suo autista e consigliere Vincenzo Simonetti eseguiti nelle operazioni ‘Quattro.Zero’ e ‘Montereale’.

I due uomini d’onore, mentre si trovavano in carcere, avrebbero mantenuto contatti con gli altri indagati oggi destinatari del provvedimento cautelare che avrebbero retto le fila della famiglia mafiosa. In particolare, le comunicazioni avvenivano con Calogero Alamia (nipote di Antonino Alamia, elemento di vertice della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato quale ‘cassiere’ del mandamento mafioso, attualmente detenuto), e Maurizio Licari.

Gli altri indagati per associazione mafiosa, sono Nicusor Tinjala, Giuseppe Bommarito, già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione, sentenza divenuta irrevocabile nel 2006, e i figli Calogero Bommarito e Giuseppe Antonio Bommarito. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Massimiliano Giangrande, al quale non viene però contestato il reato associativo.

Gli arrestati sono accusati di avere esercitato il controllo del territorio attraverso le estorsioni a San Giuseppe Jato, l’espansione imprenditoriale nel settore edilizio, grazie ad appalti, sia nella valle dello Jato che a Palermo e lo spaccio di hashish tra i territori di Palermo nei mandamenti mafiosi di Santa Maria del Gesù e Porta Nuova e San Giuseppe Jato.

Il pizzo al centro scommesse per i carcerati

Tra le richieste di pizzo c’è quella ai danni di un centro scommesse a San Giuseppe Jato. In più circostanze, come ad esempio a Pasqua del 2017, il gestore avrebbe consegnato agli indagati Maurizio Licari, Giuseppe Antonio Bommarito e Nicusor Tinjala somme di denaro utilizzate sia per alimentare la ‘cassa’ della famiglia mafiosa che per sostenere le famiglie dei detenuti.

Nel corso dell’indagine sarebbe stato accertato il ruolo di capo famiglia di Calogero Alamia. Solo grazie al suo intervento e alla sua autorevolezza nell’estate del 2018 è stato possibile ricomporre i gravi contrasti tra membri della famiglia mafiosa. Un’azione volta a mantenere l’unità per non compromettere il potere della famiglia sul territorio.

Sospeso dal lavoro l’ex comandante della polizia municipale

La sospensione del servizio è stata disposta per l’ex comandante della polizia municipale di San Giuseppe Jato, oggi in pensione. All’ex capo dei vigili urbani è stato contestato di essersi introdotto abusivamente nel sistema informativo dell’Aci per verificare l’intestatario della targa di un veicolo da cui erano stati scaricati rifiuti edili in un’area di San Giuseppe Jato controllata dalle telecamere comunali installate per evitare la formazione di discariche abusive.

Il pubblico ufficiale avrebbe riferito il nome del titolare a Giuseppe Antonio Bommarito, per far ripulire l’area ed evitare le sanzioni.

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