Rafforzare il sistema dei servizi nell’ambito delle cure palliative e della terapia del dolore significa garantire un diritto fondamentale, quello alla salute, al quale è dedicato l’articolo 32 della Costituzione Italiana.
Di cure palliative ma non solo si è parlato in occasione di una puntata di Talk Sicilia, il programma di approfondimento di BlogSicilia. Molto importante l’argomento affrontato con le due ospiti presenti in studio, la dottoressa Gaetana Rinaldi, direttore sanitario della Samo Onlus e Maria Luisa Cutrera, responsabile del personale della Samo Onlus.

La medicina palliativa che prende in carico la famiglia

Ma cosa sono le cure palliative e perché sono così importanti per i pazienti affetti da gravi patologie?
Lo spiega subito la dottoressa Rinaldi: “A dispetto del nome, nell’immaginario popolare le cure palliative sembra facciano riferimento all’inutile, cioè si pensa che non servono a nulla. Ed è quello che fa scattare frequentemente il meccanismo dell'”Oddio, è tutto finito”. Finora le cure palliative si sono occupate di cancro, quindi di chi ha un percorso dal punto di vista oncologico. E’ sicuramente un momento di stop importante per quelle che vengono considerate le cure attive. Parliamo delle chemioterapie, le immunoterapia, le cure biologiche. E arriva un momento in cui le malattie non rispondono più. Dobbiamo fare i conti con la malattia che progredisce, con la malattia che non diventa più responsiva ai trattamenti, sia innovatici che tradizionali, poco importa.
Però le cure palliative hanno la dignità di medicina. Tant’è che oggi non si parla più di cure palliative generali, ma si parla di medicina palliativa. La medicina palliativa, quindi, in realtà prende in carico completamente i bisogni del paziente, non solo del paziente ma della famiglia. Quindi è un salto ancora ulteriormente diverso. Cioè abbiamo finito di occuparci della malattia, ci occupiamo della persona ed ecco perché le cure palliative si muovono tramite équipe. Non esiste il palliativista che lavora da solo”.

I bisogni di chi non è più guaribile e le equipe specializzate: “Nessuno deve morire solo”

Di medicina palliativa si parla da poco tempo. Perché è fortunatamente cambiato l’approccio alla malattia. Fino a qualche anno fa, quando il paziente non rispondeva più alla cura, quando insomma non c’era più niente da fare, spesso veniva abbandonato a se stesso. Con la medicina palliativa adesso per i pazienti le cose sono diverse.
Lo conferma ancora la dottoressa Rinaldi: “Il concetto è che ci prendiamo cura della persona, non solo dei bisogni fisici, questa è la medicina palliativa. Pensare che ma la medicina palliativa sia uguale a morfina e morte non è esatto. Non è più così. Perché i bisogni di chi non è più guaribile da una malattia, come appunto il cancro, in realtà sono tantissimi e i pazienti frequentemente morivano da soli. Le persone morivano da sole e ancora oggi ci sono delle realtà in cui ovviamente le cure palliative vanno implementate. Ci vogliono gli specialisti, quindi non è che chiunque può fare il palliativista. C’è una équipe è formata dal medico, dall’infermiere, dallo psicologo, l’assistente sociale, l’operatore socio sanitario, il fisioterapista. E in alcuni setting dove è possibile ovviamente l’assistente spirituale, il logopedista o altre figure che in quel momento si ritiene opportuno. Quindi non stiamo abbandonando nessuno, non abbiamo lasciato nessuno a casa, ma soprattutto nessuno deve morire solo a casa, perché è impensabile che questo possa avvenire.
La Samo Onlus si occupa nel dettaglio di cure palliative domiciliari. Perché poi i setting di cure palliative possono essere di vario livello. Abbiamo gli hospice, che si occupano di cure palliative, speriamo che nascano i reparti di cure palliative. Adesso abbiamo anche da un po’ di tempo anche nella nostra Asp (quella di Palermo, ndr), gli ambulatori di cure palliative e infine ci sono i setting domiciliari in cui opera appunto l’associazione della quale faccio parte, che è la Samo Onlus che non è una realtà solo palermitana. Abbiamo sedi ad Agrigento, Catania e Trapani”.

Il servizio della Samo

Il servizio della Samo è veramente ampio. Lo spiega bene la dottoressa Cutrera. “Il servizio è pubblico, è aperto a tutti, a tutte le fasce d’età, dai bambini alle persone anziane. Ovviamente, essendo un servizio pubblico, va richiesto presso la struttura pubblica. In questo caso sono le Asl, le Asl di appartenenza e direttamente il familiare che si rivolge al medico di medicina generale, il quale, essendo il medico che conosce già il paziente da parecchio tempo, ce l’ha in carico proprio come come facente parte del nucleo familiare. E’ quello che attiva il servizio tramite una richiesta. Ebbene, questa richiesta va presentata presso gli uffici delle Asl di appartenenza o presso i distretti. Noi seguiamo Palermo e provincia, a Catania, Agrigento e Trapani, come diceva prima la dottoressa Rinaldi, va richiesto in tutti i distretti di tutte le province.
Questo nel momento in cui si attiva tramite il medico di base. Esiste un’altra procedura che è quella della dimissione protetta, ovvero un paziente che è in regime di ricovero presso la struttura ospedaliera, può essere inserito nel sistema delle cure palliative domiciliari tramite la dimissione, quindi è l’ospedale che richiede alla Asp di appartenenza direttamente la dimissione, che può essere semplice o può essere complessa. Nei casi dei pazienti molto complicati che hanno grande necessità nel momento in cui arrivano presso il domicilio, devono avere un’assistenza abbastanza intensiva. Noi abbiamo due livelli di assistenza. Il primo livello è per i pazienti che hanno un’aspettativa di vita anche fino a sei mesi. I pazienti di secondo livello sono pazienti molto più gravi, che hanno una tipologia di assistenza ridotta. Però in senso generale, sia nell’uno che nell’altro caso, l’obiettivo è appunto fare in modo che un paziente possa rientrare presso il proprio domicilio e essere curato nella propria casa nel proprio letto, poter andare ad usufruire del proprio bagno e della propria tavola.
E soprattutto, la cosa più importante del nostro servizio è quella di avere l’equipe che si prende cura sotto il profilo sanitario del paziente, quindi con tutte le necessità terapeutiche. La cosa fondamentale in questa tipologia di lavoro è la presenza della famiglia, la presenza degli affetti che vanno supportati, come spiegava prima la dottoressa Rinaldi, vanno supportati dalla nostra equipe sanitaria che è composta da varie figure e insieme ai familiari hanno un unico obiettivo, che è quello di assistere e proteggere, accudire e soprattutto accompagnare fino all’ultimo giorno di vita il paziente”.

La medicina è cresciuta, educare gli oncologi

Un cambiamento dunque anche culturale nel sistema di assistenza. Il paziente viene accompagnato. Lo conferma la dottoressa Rinaldi che è un’oncologa. “Intanto – dice – il primo passaggio importante sarebbe quello di educare noi oncologi al fatto che c’è un momento in cui bisognerà dire ai pazienti che non rispondono più alle terapie.
Per fortuna la medicina è cresciuta e ci sono state tante innovazioni.
Per fortuna le storie di tante malattie sono cambiate da quando la medicina ha fatto tanti passi. Però l’oncologo va educato, va educato alle cure palliative, va educato ad avere un progetto sul paziente perché noi la malattia la conosciamo anche se a volte assume dei tratti imprevedibili. Però in linea di massima lo conosciamo. Per cui sicuramente bisogna fare un passaggio con gli oncologi in maniera tale che aiutino a transitare il più dolcemente possibile verso le cure palliative, quindi verso l’altro gruppo che prende in carico il paziente e si tratta di altri professionisti che hanno la conoscenza della materia.
Pensiamo, nella fase proprio finale della vita, a sintomi quali la dispnea che hanno in tanti.
La fase finale dei tumori polmonari è l’affanno. Perché i pazienti devono transitare verso il loro fine vita non potendo avere qualcuno accanto che ha i farmaci corretti per ridurre la sensazione di fame d’aria, la sensazione di affanno, di non poter respirare? C’è anche il dolore, altro sintomo che va preso in carico con farmaci molto moderni, la cui base è la morfina. Non spaventiamoci a dire questo nome perché dalla morfina sono venuti fuori farmaci talmente importanti che aiutano quotidianamente i pazienti, sia in oncologia sia nelle cure palliative. Poi ci sono le emorragie acute che i pazienti possono avere, con la necessità di essere aiutati e non possono andare al pronto soccorso perché al pronto soccorso non possono fare nulla. Quindi vanno aiutati. Da questo punto di vista abbiamo un altro sintomo importante che è quello che chiamiamo il delirium. Quando vedete i pazienti che diventano irrequieti. Se non riusciamo a tenerlo tranquillo, il paziente costantemente si agita, non riesce a stare tranquillo e confabula, parla. Quindi c’è tutta una serie di sintomi che il professionista di cure palliative non solo conosce molto bene, ma sa anche molto bene come doverle gestire. E ciò è un bene non solo per la persona che sta lasciando la vita, ma è un bene anche per le persone care che gli stanno li ed accanto. Cioè sapere che ci si sta prendendo cura”.

Un nuovo approccio, il carico spesso enorme delle famiglie

Importante in questo senso il percorso tracciato dal onlus e da organizzazioni come la Samo nel corso degli anni.
“La nostra onlus – racconta Cutrera – nasce già nel 1994 a Trapani. Abbiamo sempre svolto attività inizialmente di volontariato, perché la nostra fondatrice era a sua volta una malata di tumore che aiutava tante persone ad avere il supporto anche dell’infermiere, di un medico amico, di una persona che ti tiene la mano e ti consola durante un momento così difficile. Da allora, ovviamente, è stato anche tutto normato, cioè a livello anche nazionale. Abbiamo la legge 38 che appunto stabilisce le norme. Ci sono i Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr) che sono fondamentali.
Cioè non esiste più una città o un paese o una regione che non abbia le cure palliative, perché sono fondamentali ormai e importantissime sul territorio. Come diceva la dottoressa Rinaldi, ci sono varie sfaccettature. Noi abbiamo la parte del domiciliare, ci occupiamo di quella. Ma c’è anche l’hospice per chi non ha famiglia e per chi è da solo”. Aggiunge Rinaldi: “A volte le famiglie, oltre alla malattia, devono affrontare un carico enorme.
Le loro vite sono state completamente sconvolte. Non solo l’ammalato, anche i familiari. C’è chi lascia il lavoro, chi non ha la 104, chi non può prendersi le giornate e le deve recuperare.
E allora o si occupano di questo i nostri assistenti sociali che tentano di fare avere tutto quello che dal punto di vista della normativa può ottenere il familiare e il paziente. Oppure in questo caso è la nostra equipe della Samo onlus che contatta l’hospice di pertinenza d’accordo ovviamente con i familiari dopo aver parlato e discusso e il paziente viene trasferito in hospice dove può stare con il proprio familiare e quindi lì hai un’assistenza, sollevando la famiglia da quello che può essere a volte uno stress eccessivo”.

Affrontare un cammino insieme

Ribadisce Cutrera: “In effetti anche l’hospice rappresenta con la famiglia presente un ristoro in un momento di grande confusione e preoccupazione.
Così come tante famiglie che seguiamo noi si sentono confortate dalla nostra presenza, perché sono aiutate in questo percorso che è difficile e brutto per tutte le famiglie e soprattutto per tutte le fasce di età e con tutte le varie problematiche. Noi ci inseriamo nel contesto a supporto per dare un ristoro, e si affronta un cammino insieme”.

La legislazione

Una domanda sorge spontanea. La legislazione attualmente ha fatto grandi passi in avanti. E’ sufficiente o avrebbe bisogno di fare ulteriori passi avanti? Rinaldi puntualizza: “E’ un campo nel quale non sono brava, però una cosa mi sento sicuramente di dire.
La legge 38 risale al 2010. Sono passati 13 anni. Basterebbe fare una piccola rilettura di questa legge e semplicemente attuarla. Acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta.
Tanta gente è andata via senza avere un’adeguata assistenza di cure palliative.
Però per fortuna oggi tante cose sono cambiate ma si potrebbe affinare la legge.
Cioè basterebbe applicarla pedissequamente perché si possa ottenere di più per l’assistenza ai pazienti, a qualsiasi livello e in qualsiasi setting. Poi gli sforzi li abbiamo fatti tutti. Devo dire che anche la Regione Siciliana ha fatto il suo sforzo. Anche noi abbiamo delle cose che funzionano. La nostra regione ha il suo vanto per avere fatto lavorare le onlus, ma è ovviamente chiaro che ci sono delle cose che vanno migliorate.
Parlo delle onlus in tutta la Sicilia. Non è stata solo la Samo, ci sono anche altre onlus.
Abbiamo coperto un buco non indifferente. Ci siamo, siamo presenti, non ci siamo come vorremmo. Non riusciamo ad arrivare a tutti, proprio tutti. Per esempio per la carenza di personale”.

Il momento presente della sanità

E, come sappiamo, il momento presente non è certo semplice per la sanità in generale. Non mancano le polemiche e le proteste, basti pensare alle lunghe liste di attesa o alla mancanza di personale.
“Anche – aggiunge Rinaldi – del personale che si dedica alle cure palliative. Però lo dobbiamo dire grazie alle alle onlus. La Regione Sicilia assiste buona parte dei pazienti che si trovano nella fase terminale della loro vita.”.

Come intervenire, serve maggiore conoscenza

Ma c’è qualcosa che si potrebbe fare per applicare la legge in maniera più ampia?
Alla domanda risponde la dottoressa Cutrera: “Non entro nel particolare legislativo ma il concetto è quello di dare più informazione, perché più informazione ci consente di poter applicare bene quello che già abbiamo di esistente. Perché la legge è applicata ma non conosciuta da tutti, il servizio che non è conosciuto da tutti.
Siamo enti accreditati. La nostra tipologia di attività è già stata istituzionalizzata.
Manca la conoscenza.
C’è tanta gente che, come dicevamo prima, resta da sola anche negli ospedali.
Dobbiamo precisare una cosa importante. Noi non abbiamo solo gli oncologici. Facciamo questa attività da 28 anni. Conosciamo i processi burocratici ma anche i sentimenti di tanta gente che ancora oggi ci ringrazia.
Noi abbiamo aiutato tanti pazienti a non morire in ospedale, soprattutto nei pronto soccorso. Abbiamo seguito una fascia di persone molto anziane. Ovviamente fare avanti e indietro dal pronto soccorso è un grandissimo stress per il paziente stesso, per la famiglia. Ma, diciamolo, è anche un costo per la sanità, lo è l’accesso a un pronto soccorso, di una persona anziana, che possibilmente ha bisogno solo di essere accudita nella maniera corretta a casa. Tutto questo è fondamentale anche per la sanità in generale. In questo modo si evitano le corse sfrenate ai pronto soccorsi e ribadiamo il concetto che abbiamo detto prima: il paziente può restare a casa sua nel suo letto seguito bene.
In tutto questo noi non operiamo da soli. Noi collaboriamo anche con i medici di medicina generale perché da soli non possono affrontare tanti casi e tante patologie.
Ma anche loro devono fare i conti con la burocrazia. Bisogna lavorare sul territorio e con una informazione maggiore. Con un maggiore coordinamento. Questo ci aiuterebbe tantissimo”.

La versione podcast della puntata di Talk Sicilia

 

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