un ragazzino veniva legato al letto con una catena

Maltrattamenti ai minori disabili |in una comunità, shock a Licata

Maltrattavano fisicamente e psicologicamente alcuni minori, inabili psichici, affidati, per la vigilanza, assistenza e sostegno psicologico, ad una comunità alloggio di Licata (Ag) sottoposta a sequestro preventivo.

Una assistente sociale, responsabile della gestione della struttura, è stata arrestata e posta ai domiciliari, per tre operatori è scattato il divieto di dimora nella provincia di Agrigento e l’amministratore è stato interdetto dall’esercizio.

L’ordinanza cautelare è stata disposta dal Gip del tribunale di Agrigento, Alessandra Vella su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Alessandro Macaluso. Nell’ambito dell’operazione, condotta dai carabinieri e denominata “Catene spezzate”, sono complessivamente otto le persone iscritte nel registro degli indagati.

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La misura cautelare degli arresti domiciliari è stata emessa nei confronti di Caterina Federico, 32 anni, assistente sociale, responsabile della gestione della comunità di Licata (Ag) dove sono sistemati i minori con disabilità psichica.

Il divieto di dimora nella provincia di Agrigento è stato firmato dal Gip per Angelo Federico, 29 anni, Domenico Savio Federico, 24 anni, e Giovanni Cammilleri, 25 anni, operatori in servizio nella stessa struttura. La misura interdittiva è stata emessa nei confronti di Salvatore Lupo, 39 anni, di Favara (AG).

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L’inchiesta della Procura di Agrigento, portata avanti dai carabinieri, ha permesso di accertare che “senza alcuno scrupolo per la condizione di fragilità psico-fisica dei minori con deficit mentali e degli altri ospiti disabili, si ricorreva sistematicamente all’inflizione di punizioni come il digiuno, il divieto di contatti telefonici con i familiari, la reclusione all’interno delle stanze da letto”.

Un minore, addirittura, sarebbe stato legato, giorno e notte, con una catena di ferro alla struttura metallica del letto. Gli ospiti della Comunità alloggio, sempre secondo gli investigatori, sarebbero stati tenuti in precarie condizioni igienico sanitarie e all’interno della struttura veniva utilizzata “acqua contaminata da batteri coliformi”.

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