Il pm di Agrigento, Elenia Manno, ha chiesto la condanna a 24 anni di carcere per Gaetano Rampello, 59 anni, poliziotto in servizio al reparto mobile della Questura di Catania, che ha confessato l’omicidio del figlio ventiquattrenne Vincenzo Gabriele.
Il poliziotto ha scaricato 14 colpi di pistola contro il figlio, il primo febbraio dello scorso anno in piazza Progresso, a Raffadali.
“Non è stato un omicidio d’impeto ma ha premeditato il gesto andando, probabilmente, a prendere la pistola in caserma prima dell’appuntamento – ha detto il pm durante la requisitoria -. Tuttavia ha subito anni di violenze e sopraffazioni ed è stato l’unico che ha provato ad aiutare il ragazzo”.
Padre e figlio si erano dati appuntamento perché il ragazzo avrebbe preteso 30 euro. In quella circostanza il ventiquattrenne, secondo il racconto dell’imputato, avrebbe strattonato il padre costringendolo a consegnarli altri soldi.
L’omicidio venne immortalato dalle telecamere della banca e il poliziotto venne subito arrestato dai carabinieri guidati dal maggiore Marco La Rovere. La corte di Assise presieduta da Wilma Angela Mazzara, subito dopo la requisitoria ha dato la parola agli avvocati di parte civile Pietro Maragliano e Alberto Agiato.
Martedì è in programma l’arringa del difensore dell’imputato, l’avvocato Daniela Posante. Subito dopo sarà emessa la sentenza.
Dopo l’omicidio l’uomo aveva chiamato il 112 per farsi venire a prendere in una fermata dell’autobus visto che in quel momento a Raffadali pioveva. Poi una decina di carabinieri del Nucleo Operativo lo hanno circondato e fermato. Lui non si è scomposto più di tanto. “Per favore, consegnate il mio distintivo e la mia pistola al Questore. So di aver commesso un atto di grande disvalore sociale. Sono pronto a raccontarvi tutto”. Così avrebbe detto all’arrivo dei militari Rampello che poi ha raccontato in caserma tutte le fasi dell’omicidio.
Il giorno prima il figlio avrebbe chiesto soldi al padre. Una richiesta continua di denaro che avrebbe portato all’esasperazione la famiglia. “Uomo di merda, mi devi fare una ricarica di 50 euro”, avrebbe detto il figlio al poliziotto. Il giorno seguente alla telefonata padre e figlio si sono incontrati a Raffadali. Il padre gli avrebbe consegnato una somma di denaro che però non sarebbe bastata a placare gli animi del 24enne che avrebbe strattonato il familiare. La miccia che fa esplodere la furia omicida del padre che ha estratto la pistola d’ordinanza e ha ucciso con diversi colpi il figlio. “Gli davo 600 euro al mese ma non bastavano mai – racconta durante l’interrogatorio Rampello – e mi picchiava e minacciava”.
L’agente ha reso una piena confessione ai carabinieri del Nor della compagnia di Agrigento.
Rampello ha inquadrato il delitto nel profondo disagio vissuto all’interno della famiglia per le condizioni di salute del ragazzo che aveva delle fragilità psicologiche e che, per tre anni, secondo il racconto del padre, era stato ricoverato in una struttura specializzata.
Pochi giorni dopo l’omicidio, la madre del giovane aveva chiesto giustizia non concedendo nessuna giustificazione all’ex marito. Aveva redatto una lettera, sottoscritta anche dallo zio Giuseppe e dalla nonna Francesca, consegnata ai suo avvocati in cui avevano espresso fiducia nell’attività degli investigatori dicendosi “a disposizione per fornire ogni contributo utile affinché Gabriele possa avere giustizia. Non dirameranno nessun commento sul tragico evento nonché in merito al responsabile, perché questo lutto merita di essere rispettato con silenzio”.
Nessuna giustificazione per il gesto del poliziotto che ha spiegato agli investigatori come il gesto estremo, l’omicidio del figlio, sia maturato in seguito a continui dissapori legati alle continue richieste del giovane. L’ultima proprio il giorno dell’assassinio. “Nessuna ipotetica giustificazione potrà mai legittimare un padre che priva il figlio della propria vita”. Questo si legge nella lettera.